Cahiers de Biotherapie - Numero 1 anno 2013

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Cahiers de Biotherapie:

La presenza della scuola SMB ITALIA nel panorama delle scuole omeopatiche italiane

DI GIANFRANCO TRAPANI Direttore Didattico SMB Italia

L’Italia è un Paese ricco di fermenti formativi ed educativi, di idee e di innovazioni. Anche nel settore delle Medicine Complementari siamo sempre all’avanguardia, pur con tutti limiti culturali peculiari del nostro essere. In un articolo sulle caratteristiche socio culturali degli italiani, C.A. Pratesi, Professore straordinario di economia all’Università Roma 3, scrive “Noi italiani, per gli stranieri siamo un po’ come quegli insetti che all’apparenza sembrerebbero del tutto inadatti al volo mentre invece si librano nell’aria senza difficoltà, e solo gli entomologi sanno spiegarne il motivo.” (1) Una definizione ancora più incisiva è stata data da P. Kotler, (2) un noto esperto di marketing “Per il resto del mondo l’Italia è un vero e proprio enigma, perché è l’unico sistema Paese nel quale si riesce a generare valore nonostante la situazione di assoluto caos”
Il mondo delle Medicine Complementari non è un’eccezione. Le scuole che insegnano medicina omeopatica sono decine (circa 50) , e diversamente distribuite sul territorio nazionale. Ci sono piccole realtà locali, alcune scuole a diffusione nazionale, delle organizzazioni che formano una Federazioni tra varie scuole e cercano di dare una certa uniformità alla formazione dei medici e dei farmacisti che si interessano a questa tecnica terapeutica. Ci sono Scuole di Omeopatia Unicista, di Omeopatia Clinica e di Medicina Integrata. Ognuna ha i propri obiettivi e le proprie peculiarità.
L’obiettivo di tutte queste scuole, ovvero trovare un punto di dialogo ed di incontro con chi si occupa di salute della collettività e di formazione medica, è stato ben sintetizza dal Collega ed amico Pindaro Mattoli
In un suo intervento riferisce che
L’ integrazione a livello scientifico sarebbe l’integrazione principale da perseguire, la prima in ordine logico e strategico. Si dovrebbe cioè dimostrare, utilizzando i mezzi sperimentali della medicina accademica, la validità dei due assunti principali della Omeopatia, la Legge dei Simili e la azione terapeutica delle dosi infinitesimali, fugando definitivamente qualsiasi dubbio sulla validità terapeutica della Omeopatia ed estinguendo un contenzioso scientifico che data da ben due secoli. La dimostrazione scientifica della Omeopatia dovrebbe essere il primo passo, al quale, logicamente, dovrebbe seguire la introduzione a tutti gli effetti della Omeopatia nella medicina accademica, l’istituzione della specializzazione in Omeopatia presso le Università e la sua introduzione in vari settori del servizio sanitario nazionale. In tante altre nazioni questo è accaduto da tempo. “
La risposta purtroppo non positiva si legge nelle seguenti righe sempre nell’intervento del collega:
“Ma i percorsi logici e produttivi sono sempre soppiantati da interessi privati, personali o di casta, politici e commerciali, e, nonostante negli ultimi decenni siano stati prodotti in tutto il mondo, e anche in Italia, lavori sperimentali che incontestabilmente dimostrano la validità della Omeopatia, la classe medica ufficiale italiana fa orecchie da mercante e prosegue imperterrita nell’opera di discredito sistematico della Omeopatia.”
Tuttavia mentre il nostro paese resta fermo e si crogiola in pregiudizi vecchi e stantii, il mondo va avanti.
In un articlo di Miek C. Jong e colleghi, “Integration of complementary and alternative medicine in primary care: What do patients want?” (4)
Sono stati studiate le opinioni dei pazienti verso l’integrazione della Medicina Complementare e Alternativa (CAM) nelle cure primarie.
Con metodi diversi sono stati effettuati alcuni sondaggi sull’uso, e la divulgazione delle CAM, tra pazienti con diverse malattie articolari.
Su un totale di 416 pazienti, soffrivano di artrosi il (51%), di artrite reumatoide il (29%) o di fibromialgia il (24%).
La prevalenza dell’uso delle CAM è stata dell’86%, di cui il 71% ha comunque consultato un medico specialista nelle Medicina Complementare. Le CAM più frequentemente utilizzate sono state le terapie manuali, l’agopuntura e l’omeopatia. Una minoranza (30%) riferisce al Medico di Medicina Generale (medico di famiglia) che utilizza le CAM.
La maggior parte dei pazienti (92%) ha dichiarato di preferire un medico di famiglia informato sulle CAM, mentre il 70% vorrebbe avere un medico di famiglia in grado di usarle, infine il 42% vorrebbe che i medici di famiglia e quelli specialisti in CAM collaborassero.
In definitiva la maggior parte dei pazienti vuole un medico che ascolti e collabori con coloro che usano le CAM in pratica un coinvolgimento attivo dei loro medici nella loro scelta di un approccio integrato della medicina.
Senza contare che l’uso delle CAM nei bambini come evidenziano (5) Tycho J. e coll. “Use of complementary and alternative medicine by children in Europe” dove rilevano che la prevalenza dell’utilizzo delle CAM per la cura dei bambini in Europa è stata del 52% (range: 5-90%, rettificato per numero di abitanti). Allo stesso modo hanno rilevato che intervistando Pediatri esperti CAM si osserva una crescente conoscenza per l’uso delle CAM nelle strutture pubbliche.
Naturalmente, anche se è vero che “Additionally, more research investigating the efficacy and potential adverse effects of CAM therapies is needed because of increasing CAM use by children in Europe.(5)” Solo attraverso la formazione di medici qualificati e di personale sanitario che conosce le possibilità ed I limiti di queste tecniche terapeutiche si riesce a fornire un servizio adeguato al paziente e tutelare effettivamente la sua salute fisica psichica ed i l suo benessere.
La SMB nel corso dei suoi 30 anni di attività ha sempre lavorato perché i Medici i Farmacisti formati nelle sue scuole avessero come principale obiettivo l’interesse del paziente.
Tra le varie “Carte e raccomandazioni internazionali sulla promozione della salute “ (6) prodotte dall’OMS, partendo dalla dichiarazione del 1948 fino ad arrivare a quella di Nairobi del 2009, il nostro principio ispiratore è sempre stato che “Grazie ad un buon livello di salute l’individuo e il gruppo devono essere in grado di identificare e sviluppare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni, tutelare l’ambiente e di adattarvisi” “Carta di Ottawa” (documento redatto nel 1986 durante la prima “Conferenza internazionale per la promozione della salute”).
Per la nostra Scuola la salute è sempre stata il risultato di un funzionamento armonico tra tutti i sistemi (organi ed apparati) che costituiscono l’organismo, e di un equilibrio tra questo e l’ambiente che lo circonda. I docenti SMB insegnano a non affrontanre il problema dell’organo malato, ma a cercare di ristabilire l’equilibrio interno del corpo umano e quello dell’ecosistema. “Non si può vivere in buona salute su un pianeta malato” (M. Lerner, oncologo e fondatore dell’ecomedicina) (10).
La nostra Scuola ha sempre accettato e fatte proprie le vari e definizioni di Omeopatia e Bioterapie
L’omeopatia viene insegnata come una tecnica terapeutica che ha come obiettivo quello di migliorare il livello di salute di un organismo attraverso la somministrazione di farmaci sperimentati, dinamizzati, ovvero potentizzati e selezionati individualmente secondo la Legge di Similitudine.
Le Bioterapie, come delle tecniche terapeutiche che vengono prescritte in base ai sintomi clinici, senza essere personalizzate sui pazienti. La loro prescrizione viene fatta su schemi nosologici, simili a quelli della medicina Accademica con farmaci omeopatici composti da più unitari in formulazione predefinite e registrati come “specialità” dalle varie ditte produttrici. Il loro scopo è quello di consentire ai pazienti ed al medico di ottenere risultati terapeutici, quando non c’è la possibilità di fare una buona individualizzazione della terapia con i farmaci omeopatici unitari, senza utilizzare farmaci classici e senza rischi di effetti collaterali o secondari.
In ogni caso nelle nostre scuole, i nostri docenti insegnano da sempre che una terapia allopatica efficace e salvavita non deve mai essere sostituita da cure omeopatiche o bioterapiche, anche se esiste il consenso del paziente. (7).
Attraverso l’utilizzo delle tecniche di insegnamento per “gruppi di apprendimento” tramite i test di “valutazione di grado di conoscenza” e molte ore di esercitazioni pratiche, nelle nostre scuole permettiamo agli studenti di passare dal “sapere” al “saper fare”. infatti nel programma didattico, avvalorato da 30 anni di applicazione in Italia ed in Francia, viene fatto costante riferimento alle ricerche scientifiche ed ai campi di intervento dell’Omeopatia, individuandone i limiti e le possibilità terapeutiche.
Le patologie vengono studiate analizzando e confrontando (diagnosi differenziale) sia i farmaci sintomatici, periferici ma di facile individuazione, sia i farmaci di fondo (costituzionale, simillimum) ad azione profonda e risolutiva. (8) Infine per completare le possibilità terapeutiche viene insegnato anche l’uso dei Bioterapici e dei Fitoterapici.
Noi siamo convinti da molti anni, che non esiste il “farmaco miracoloso” che risolve la malattia, sia nel settore della Medicina Complementare che in quello della Medicina Accademica.
Sicuramente ci sono malattie come il Diabete, dove l’insulina è un farmaco indispensabile, o le malattie chirurgiche acute dove l’intervento chirurgico salva la vita del paziente.
Esistono casi clinici dove un farmaco omeopatico ben individualizzato, risolve problemi di salute molto stratificati nella storia clinica del paziente.
Tuttavia osserviamo che non esistono farmaci in grado di risolvere problemi sistemici come l’obesità, l’ipertensione arteriosa, la sindrome metabolica, il cancro. Una pastiglia può ridurre per un certo periodo la pressione arteriosa, può abbassare il colesterolo, ridurre l’assorbimento dei grassi ed aiutare il dimagramento, ma non risolverà mai il problema alla radice. Modificare lo stile di vita, al propria alimentazione e l’approccio ai problemi quotidiani, invece, risulta più efficace. Trenta minuti di cyclette, cinque volte alla settimana, una alimentazione povera di proteine animali ed un approccio più sereno ai problemi quotidiani sono più efficaci del’impianto di uno stent per allargare le coronarie. Tuttavia se il paziente ha un infarto sarà necessario impiantare uno stent con urgenza per salvargli la vita.
Insomma non esiste la prevalenza di una tipologia di medicina sull’altra, esiste la ricerca del benessere e della salute del paziente.
Il nostro approccio è quello di proporre l’uso dell’omeopatie e delle bioterapie prima di arrivare ai farmaci, di modificare il modo di sentire e di agire del paziente non solo attraverso la ricerca del farmaco che può aiutarlo a ritrovare il suo equilibrio, ma attraverso la cura del suo terreno.
David Servan-Schreiber, già Professore Associato di Psichiatria Clinica e Direttore del Laboratorio di Scienze Neurocognitive Cliniche, dell’Università de Pittsburgh, e – fondatore di uno dei primi Centri al mondo di Medicina Integrata,(Università di Pittsburgh Medical Center, Shadyside Hospital (450 posti letto), scrive (9) (10) “ ……..la medicina moderna diventerà una medicina davvero scientifica solo quando medici e pazienti avranno imparato a mettere a frutto le forze dell’organismo e della mente che agiscono grazie al potere di guarigione della Natura.”
Noi cerchiamo di preparare i nostri medici ed in nostri farmacisti a conoscere l’uso delle Medicine Complementari, dell’Omeopatia delle Bioterapie, ma soprattutto ad avere una coscienza critica.
Samuel Abersam matematico ad Harvard e uno dei massimi esponenti della Scientometria, La scienza delle scienze, (11) ha scritto su “The half life of facts” che la scienza è un progressivo avvicinamento alla verità e chiunque lo capisce sa anche che si basa su una continua trasformazione delle conoscenze comunemente accettate. La Medicina da spesso la sensazione di basarsi molto sulla casualità e e questo genera spesso una sensazione di inquietudine. Lo studente di Medicina sa che nel giro di cinque anni la metà delle nozioni che ha appreso non sarà più valida, ed il problema è che i suoi docenti non sanno quale sarà quella metà (12). Anche noi (con i nostri limiti) siamo convinti che le conoscenze cambino, ma in modo regolare. Il tempo di decadimento di una informazione scientifica, sempre secondo Abersman, è di 45 anni, nel quale decade il 45% delle validità delle scoperte fatte dalla scienza medica. Noi ne siamo consapevoli, e cerchiamo di adattare le nostre conoscenze e le informazioni che diamo ai medici ed ai farmacisti adatte ad un mondo in continua trasformazione.
Crediamo che questa sia la forza della nostra scuola, la capacità di insegnare le fondamenta delle nostre tecniche terapeutiche e nello stesso tempo di non essere fermi su preconcetti, accettare le modifiche che avvengono nella Scienza Medica ed essere orgogliosi quando si dimostra che i Medici possono sentire il dolore dei propri pazienti e grazie a questa empatia recare loro sollievo (13) .
“Dimostrando che la cura comporta una complessa serie di eventi cerebrali, tra cui una profonda comprensione delle espressioni del viso e del corpo del paziente, combinate con le aspettative del medico sul sollievo provocato dal trattamento e il meccanismo di ricompensa attivato nel suo cervello, siamo stati in grado di chiarire la neurobiologia del terapeuta”, scrive Ted Kaptchuk, dell’Harvard Medical School. “I nostri risultati forniscono la prima prova dell’importanza di un’interazione tra le reti cerebrali di pazienti e operatori sanitari, e riconoscono il rapporto medico-paziente come un componente prezioso dell’assistenza sanitaria, insieme ai farmaci e alle procedure mediche” (14)
Il commento del Moderatore della mailing list della SMB Massimo Saruggia, è stato “Nel rapporto medico-paziente o farmacista – cliente, l’empatia resta sospesa in una specie di anestesia del cuore e della mente. Oggi pochi e noi omeopati cerchiamo di essere tra questi, guardano alla persona che ha la malattia e non alla malattia.Ma mi chiedo (anche nel nostro campo) chi insegna al medico o al farmacista la leggerezza e l’immaginazione di adattarsi al paziente, al di là del formalismo della raccolta del quadro clinico?.” La risposta di un Docente della nostra Scuola Elena Rastaldi è stata “Sicuramente la SMB Italia ogni giorno cerca di assolvere a questo compito”.
Come uno dei responsabili della formazione della nostra scuola posso solo aggiungere “Grazie cari colleghi docenti di tutte le scuole presenti in Italia, perché per merito di tutti voi questa è la SMB-Italia nel panorama delle scuole di Omeopatia in Italia”.

Bibliografia
1. http://carloalbertopratesi.sitonline.it/1/upload/pratesi.pdf
2. Philip Kotler, John Caslione Chaotics. Gestione e marketing nell’era della turbolenza. 2009 Sperling & Kupfer
3. http://www.fiamo.it/index.php/2012-10-03-10-56-25/medicina-integrata
4. Miek C. Jong, Lucy van de Vijver, Martine Busch, Jolanda Fritsma and Ruth Seldenrijk
Integration of complementary and alternative medicine in primary care: What do patients want? Patient Edu Counseling, 2012
5. Tycho J. Zuzaka, Johanna Bonkováb, Domenico Caredduc, Miklós Garamid, Adamos Hadjipanayise, Janez Jazbecf, Joav Merrickg, Joy Use of complementary and alternative medicine by children in Europe: Published data and expert perspectives Compl Ther Med, 2012
6. www.unife.it/letterefilosofia/…/Documenti%20internazionali…/file
7. Trapani G, Zanino L.,.: “Omeopatia, una bina trina, ……… multipla? Cahiers de Bioterapie ed. Italiana, 7– 10 N. 1 anno XIX Gennaio Marzo 2011
8. http://www.smbitalia.org/scuola/struttura.htm
9. Servan-Schreiber David: “ Ho vissuto più di un addio” 2011 Sperling & Kupfer Editori
10. Servan-Schreiber David: “ Anticancro” 2011 Sperling & Kupfer Editori
11. Arbesman S. “ The Half-Life of Facts: Why Everything We Know Has an Expiration Date” Penguin Group USA 2012
12. Arbesman S.: “le verità scadono” New scientist Regno Unito – Internazionale N. 985 (1/7 febbraio 2013)
13. http://www.adnkronos.com/IGN/Mediacenter/Video_News/I-medici-possono-sentire-il-dolore-dei-pazienti-lo-svela-scanner-al-cervello_314129726322.html
14. http://qn.quotidiano.net/salute/2013/01/29/837743-ricerca_medici_possono_sentire_dolore_pazienti_svela_scanner_cervello.shtml

 

Cahiers de Biotherapie:

IL KUDZU COME FITOTERAPICO COMPLEMENTARE NELLA TERAPIA PROFILATTICA DELLA CEFALEA A GRAPPOLO.
Barsi Barbara.

La cefalea a grappolo è una rara forma di cefalea che colpisce circa 0,05%-0,3% della popolazione generale con prevalenza per il sesso maschile [1]. La terapia convenzionale per il trattamento dei pazienti affetti da tale patologia prevede una terapia profilattica (verapamile 120 mg per tre volte al giorno), e una d’emergenza (triptani).
In questo articolo si analizza il caso clinico di un paziente affetto da grappolo cronico non controllato con la classica terapia profilattica che ha avuto una riduzione dell’intensità, della frequenza e della durata degli attacchi, grazie all’assunzione di Kudzu (Pueraria lobata) fitoterapico comunemente utilizzato per il trattamento dell’alcolismo[2].

Le cefalee sono disturbi dolorosi ricorrenti o cronici che colpiscono circa il 90% della popolazione mondiale con grande impatto sull’attività sociale e lavorativa dei pazienti affetti.
Sebbene possa verificarsi come evento secondario ad una patologia intracranica, nella maggior parte dei casi, la cefalea risulta essere primaria e quindi causata da una condizione non nota.
Si elencano oltre 35 tipi e sottotipi di cefalea primaria, con prevalenza della forma emicranica che colpisce maggiormente le donne in età fertile.
La cefalea a grappolo (CG) ha un’incidenza inversamente proporzionale alla potenza dei suoi attacchi, affligge circa il 0,05%-03% della popolazione con prevalenza maschile (70-90% dei soggetti) [3-4].
Distinguiamo due tipi di CG: episodica (insorgenza 20 anni) e cronica (insorgenza 10-29 anni e 50-59 anni).
Ciò che diversifica i due tipi di CG è il cosiddetto “cluster period”, nel caso della CG episodica, troviamo periodi attivi con elevata frequenza di attacchi, separati da mesi o anni di remissione, in quella cronica, invece, abbiamo la presenza di attacchi senza alcuna remissione.
La CG si differenzia dalle altre forme di cefalea per l’intensità, la frequenza, la durata e la periodicità degli attacchi. I pazienti infatti presentano crisi alla stessa ora in concomitanza con le abitudini di vita e con le fasi del sonno REM.
La durata degli attacchi è compresa tra 15 e 180 minuti, con localizzazione del dolore, sempre unilaterale, nella regione oculare (maggiore incidenza), temporale, frontale, facciale e mascellare superiore.
L’intensità del dolore è elevatissima con carattere trafittivo, lancinante, a pugnalata, associato normalmente a fenomeni vegetativi come lacrimazione, rinorrea, edema palpebrale, arrossamento e sudorazione facciale [5].
La vera e propria origine della CG non è ancora oggi nota. Diverse ipotesi sono state formulate nell’arco degli anni, oggi sembra prevalere la cosiddetta “ipotesi alta” che individua l’origine della CG in una disfunzione ipotalamica.
La terapia convenzionale prevede l’utilizzo di un calcio antagonista (verpamile 120 mg tre volte al dì) attuo a prevenire l’insorgenza dell’attacco, associato a corticosteroidi (per via im o ev) e Sali di litio. Durante l’attacco, il paziente usufruisce inoltre di una terapia d’emergenza costituita essenzialmente da triptani (sumatriptan i.m.).
Gli effetti collaterali di questi farmaci, necessitano l’individuazione di nuove molecole che possano migliorare la qualità di vita del paziente senza portare danni, anche gravi, per la loro assunzione a lungo termine.
Il Kudzu è una pianta della famiglia delle leguminose (Fabaceae) molto conosciuta in tutto l’Estremo Oriente grazie al suo utilizzo in cucina come addensante.
Le proprietà farmacologiche del Kudzu sono legate al suo contenuto in isoflavoni
• Attività estrogenica: interazione con i recettori ß e a per gli estrogeni, con attività modulatoria in base al quantitativo fisiologico di ormoni prodotti;
• Attività antiossidante: scavenger di radicali liberi coinvolti nella perossidazione lipidica;
• Attività antidipsotropica: inibizione dell’aldeidedeidrogenasi mitocondriale e degli isoenzimi della prima classe di alcool deidrogenasi, con aumento della biodisponibilità dell’etanolo.
In uno studio del 2009 pubblicato sulla rivista Headache, si analizza l’utilizzo del Kudzu, presente in diversi preparati ad azione antiemicranica negli USA, in 235 soggetti affetti da cefalea [6]. Dopo diverse scremature per individuare i malati di CG risulta che degli 11 affetti da CG episodica, 8 (73%) hanno avuto una diminuzione dell’intensità dell’attacco, 7 (64%) una riduzione anche della frequenza, 4 (36%) anche della durata e in 2 (18%) soggetti l’assunzione ha bloccato il cluster period. Un soggetto ha avuto la riduzione dell’intensità, della frequenza e della durata dell’attacco. Dei 5 soggetti affetti da CG cronica, 3 (60%) hanno avuto una diminuzione dell’intensità, 2 (40%) anche una diminuzione della frequenza e in 1 (20%) è anche diminuita la durata dell’attacco. Un soggetto riscontra l’effetto opposto con l’aumento dell’intensità dell’attacco.
Si riporta, quindi, il caso clinico di un paziente, maschio di 55 anni, che assume Kudzu associato al verapamile come terapia profilattica per la cefalea a grappolo cronica.
Il soggetto sviluppa tale patologia in forma cronica all’età di 52 anni, gli attacchi si presentano giornalmente con le modalità già descritte e non si hanno quindi periodi di remissione.
L’iter farmacologico seguito dal paziente prima dell’assunzione del Kudzu prevede:
Litio carbonato 300 mg tre volte al dì associato a verapamile 120 mg tre volte al dì con scarsi risultati e un numero di attacchi mensili, anche di forte intensità, che in media risulta essere 16 come riportato nel grafico 1 e 2 ( fino al mese di maggio).
Nel mese di giugno si sospende lentamente il litio carbonato e viene effettuata una terapia intramuscolare di cortisone per due settimane (prednisone 8 mg per la prima settimana e 4 mg per la seconda) gli attacchi spariscono per il periodo del trattamento per poi ricominciare come in precedenza (). Dal mese di ottobre viene prescritto dal Prof. Bussone (Istituto Besta, Milano) l’associazione di Kudzu con verapamile. Ha subito l’attenuazione dell’intensità degli attacchi (le colonne arancioni risultano più rare), la diminuzione del loro numero (media di 13 attacchi al mese) e della durata (si passa da attacchi di 180 min.,ad attacchi di 60 min.).
La terapia d’emergenza utilizzata prima dell’introduzione del Kudzu prevedeva l’utilizzo di sumatriptan i.m, attualmente, il paziente assume in fase acuta sumatriptan spray solo se necessario, spesso l’attacco risulta sopportabile. Anche la terapia profilattica ha avuto una variazione: durante l’anno, il paziente, nei periodi in cui il grappolo risulta più “mite”, riduce il verapamile. Attualmente assume 3 cps da 500 mg di Kudzu e.s. 40% isoflavoni tot. (fornitore Fagron) in associazione a verapamile 60 mg per tre volte al dì.
Si può in conclusione affermare che nel caso specifico il Kudzu è un valido fitoterapico complementare per il trattamento profilattico della cefalea a grappolo cronica.

BIBLIOGRAFIA
1. Tonon C, Guttmann S, Volpini M et al. Prevalence and incidence of cluster headache in the Republic of San Marino, 2002, Neurology 58:1407-1409.
2. R.Andrew Sewell, MD, Response of cluster headache to Kudzu. Headache 2009; 49:98-105.
3. Manzoni GC, Male preponderance of cluster headache is progressively decreasing over the years, 1997, Headache Oct 37 (9):588-589.
4. Russel MB, Epidemiology and genetics of cluster headache. 2004, Lancet Neurol 3:279-283.
5. Manzoni GC, Terzano MG, Bono G et all. Cluster Headache Clinical findings in 180 patients. 1983 Cephalalgia 3:21-30.
6. R.Andrew Sewell, MD, Response of cluster headache to Kudzu. Headache 2009; 49:98-105.

Cahiers de Biotherapie:

METODOLOGIA OMEOPATICA

Criteri per anamnesi, prescrizione, uso delle potenze e dosi in omeopatia

Dott. Maurizio Annibalini (Docente SMB-Ancona).
Con la collaborazione della D.ssa Valeria Fabbri (Farmacista. Diplomata SMB- Ancona).

 

Questo articolo vuole fare una puntualizzazione su argomenti di base in Omeopatia, al fine di orientare la Teoria e la Pratica Omeopatica.

Le basi dell’anamnesi omeopatica

E’ necessario analizzare i sintomi e valorizzare il loro significato. Non bisogna focalizzare e isolare un solo sintomo dal contesto dell’unita’ del paziente, sia fisico che psichico, ma considerare che la malattia, acuta e cronica, i problemi attuali, sono espressione della sofferenza dell’organismo. Quindi soggettivi o oggettivi che siano i sintomi, essi vanno inquadrati nello status generale del paziente: questo è peculiare dell’omeopatia: la malattia e la totalità dei sintomi del paziente, rapportate alla terapia omeopatica (e non malattia=terapia, allopatica). Si ricercheranno la localizzazione e la direzione dei sintomi (lato dx/sx, alto/basso…), la particolarità dei sintomi: cercare sintomi peculiari, inusuali, caratteristici, fortemente connotati. sintomi che caratterizzano il quadro globale del paziente. D’altro canto sintomi come cefalea, malessere, inappetenza, astenia…non sono molto validi per inquadrare il caso (perché comuni a tanti pazienti e a molti rimedi). «L’omeopata è come un artista che dipinge un quadro» : occhi, naso, bocca, labbra, sono comuni a tutti, ma l’espressione particolare del ritratto sarà caratteristica di quel soggetto! La legge dei simili prevede la similarità dei sintomi del paziente con quelli del rimedio, il quale in realtà è il soggetto! Raggiunta questa corrispondenza terapeutica, questa similarità (non identità), l’equilibrio di salute viene ripristinato. Nel caso che un paziente venga per sintomi attuali, possiamo essere nel campo delle patologie acute. Distinguiamo se curare il sintomo acuto con un rimedio sintomatico acuto ( perché ben delimitato e già caratteristico come simillimum in sé, oppure se inquadrarlo nel più complesso quadro del paziente. Esempio: dolore addominale: esistono tanti rimedi per questo sintomo: ne scegliamo uno soltanto corrispondente:
1) rimedio sintomatico acuto simillimum: (es. dolore che migliora piegandosi: Colocynthis)
2) rimedio generale: non per curare ma per guarire…e quindi il sintomo viene inquadrato nella
visione dell’essere globale del paziente, cercando altri sintomi particolari ( es. asma, curare il paziente che fa l’asma, non il sintomo!).
La sindrome minima di valore massimo = rimedio simillimum.

Le basi della prescrizione omeopatica
Dalla tintura madre alle cinquantamillesimali
Nelle preparazioni dei rimedi omeopatici, si parte dalla TM = soluzione idroalcolica in rapporto 1:10 con la soluzione base, vegetale o minerale; 1:20 animale.
La diluizione attenua la quantità e tossicità della sostanza medicamentosa di base.
decimale: 1:10
centesimale: 1:100
cioè 1 parte di TM + 9 oppure 99 parti di solvente (acqua e alcool 70%)
La dinamizzazione si effettua con 100 succussioni del flacone.
1 parte di 1 CH viene miscelata con 99 parti di solvente e dinamizzata 100 volte: 2 CH, e così di seguito, in flaconi multipli. L’equivalenza fra le DH e le CH: si moltiplica per 2 per passare da CH a DH; si divide per 2 da DH a H.
es. 6 CH =12 DH, 8 DH = 4 CH
la differenza sta nel fatto che le DH hanno subito il doppio di succussioni
Nel metodo Korsakoviano si usa un flacone unico da 15 ml con 5 ml di TM: si agita 100 volte. Si svuota il flacone e si aggiungono 5 ml di solvente ( acqua bidistillata), che rappresenta 99 parti in volume, rispetto alla TM che si presume rimasta adesa al flacone.
si agita 100 volte e si ha la 1 K.
si svuota e si aggiungono 5 ml di acqua, si agita 100 volte e si ha la 2 K
si arriva a potenze elevate: 200 K, 1000 K (MK), 10000 K (XMK)

le LM (cinquantamillesimali):
sostanza base: 3 triturazioni = 3 CH
0,005 grammi diluiti in 500 gocce di acqua-alcool puro (400+100).
1 goccia in flacone di 100 gocce alcool puro e 100 succussioni.
con 1 goccia si bagnano 500 globuli di lattosio: 1 LM
1:500, poi 1:100 sono le diluizioni della sostanza base cioè 500×100= 5000 (cinquantamillesimale)
1 globulo si scioglie in 100 gocce alcool puro e 100 succussioni: con 1 goccia si impregnano 500 globuli: 2 LM. Così di seguito 1 globulo in 100 ml alcool, 100 dinamizzazioni, 1 goccia in 500 globuli. Si va dalla 1 LM alla 30 LM (ma anche di più): in gocce, globuli, granuli, capsule potenziate, le cure LM, le cure FG (dinamizzate a scalare dalla prima capsula in su).

Si afferma che l’omeopatia inizia dalla 4 CH in su.
In 1 CH c’è un centesimo della quantità iniziale di sostanza; a 2 CH un decimilionesimo;
a 3 CH un milionesimo; alla 9 CH la concentrazione del ceppo omeopatico e’ 10 alla ottava e quindi 10 con 8 zeri=cento milioni più diluito; alla 12 CH il contenuto di molecole diventa zero.
12 CH o 23 DH o 4 LM è il valore limite perché si supera il n° di Avogadro (1776-1850, italiano!) che e’: 6,024 x 10 alla 23, e che rappresenta il numero di grammomolecole in unità di sostanza:
12 CH è’ appunto 10 alla -23! (Variazioni ci sono, in base al tipo di sostanza, vegetale o minerale, peso specifico….). Non vi sono più le molecole della sostanza di base, ma ci sono, e dimostrati, gli aggregati molecolari attivi formatisi con la dinamizzazione.
Oltre alla diluizione va considerata soprattutto la dinamizzazione: questa imprime modificazioni biofisiche alla soluzione, creando cluster di aggregati attivi molecolari dell’acqua, peculiari per ogni sostanza base iniziale. Questa acqua modificata, polarizzata, quantizzata, interagisce con l’acqua biologica dell’organismo per portare l’azione terapeutica del rimedio omeopatico.

Differenze tra CH-DH-K-LM
La 6 CH è uguale alla 12 DH dal punto di vista della diluizione, ma la prima (essendo diluita 1-2-3-4-5-6 volte, e ogni volta succussa 100 volte),ha subito 600 scosse, mentre la 12 DH 1200!
Una 30 LM ha subito per 30 volte 100 succussioni, quindi 3000; la corrispondente 73 CH 7300!
Nelle CH il rapporto di diluizione e’ 1:100. nelle lm 1:50000, ma il livello energetico raggiunto con le succussioni è più elevato nelle CH.
una 200 K ha subito 20000 scosse, la equivalente 7 CH 700!
Quindi non va considerata fondamentale la diluizione, ma la dinamizzazione, che poi è quella che da energia elettromagnetica (stimolando l’atomo a liberare energia), alla soluzione omeopatica e poi all’organismo (100 succussioni = 1260 joules)

Sono state elaborate, con calcoli logaritmici, delle tabelle di corrispondenze:

CH K LM
5 30 1
7 200
9 1000
12 4
17 6
31 12
45 18
60 24
73 30
10000 XMK

 


Si afferma, in linea generale, che :
potenze basse sono le 5-6-7 CH, 2-4 DH, 1-2-3 LM, le K fino alle 200,
potenze medie 9-12-15 CH, 4-5-6 LM, MK,
potenze alte 30-200 CH, 12 LM in su, la XMK.
Vi sono anche le altissime potenze: 1000-10000-50 M-CM-DM-MM ( della serie CH).
Si presume che messaggi veloci e grossolani si trasmettono con le basse potenze, segnali lenti e complessi con le alte potenze, intermedi con le medie.
Prevale la presenza del ceppo di partenza alle basse potenze, della memoria o impronta alle potenze più alte.
Posologia omeopatica
Parliamo di dose, potenza, modalità di somministrazione dei rimedi omeopatici.
Pensiamo che una regola prescrittiva va data, mentre attualmente ognuno prescrive secondo i propri convincimenti, chi usa le CH, chi le K, chi le DH, chi solo le LM: si dovrebbe concordare tra le varie Scuole un criterio, per non dare adito al LIBERO ARBITRIO OMEOPATICO.

Hahnemann spiega bene come, in che dosi, a quali intervalli somministrare i rimedi: par 273 Organon: «in nessun caso è necessario, e per questo soltanto non è lecito somministrare al malato, in una volta, più di una medicina semplice, oppure un miscuglio di più medicine diverse tra loro: non è permesso dare al malato due diverse medicine in una volta»…«la ripetizione di dosi identiche, ravvicinate di un rimedio, è una cosa assurda: non si dovrebbe ripetere al malato, a secco, a breve intervallo, la stessa medicina: lo si può fare se la medicina invece che a secco viene somministrata in soluzione, avendo cura di dinamizzarla ogni volta»!…«l’uso di un certo numero di rimedi, in certi casi anche parecchi, somministrati uno dopo l’altro, viene richiesto perché la guarigione avvenga». perché la Psora ha multiformi manifestazioni, e richiede molti rimedi. Quindi non sempre rimedio unico, pluralismo verso unicismo!
In pratica Hahnemann usava rimedi unitari diversi, ma mai insieme, provava un rimedio, se del caso, ne dava in successione un altro. In questo caso H. non era unicista!
Bisogna considerare se parliamo di sintomatici, patologie semplici, oppure se dobbiamo riequilibrare la forza vitale con un simillimum: in questo caso e’ indicato il rimedio unico:
unicismo verso pluralismo. Vannier: «ad ogni malato corrisponde un rimedio e uno solo: omeopatia corrisponde a unita»! Coulter: “non abbiamo farmaci ad ampio spettro, ma di tanti rimedi ne scegliamo uno solo!”
In casi cronici o per patologie importanti è fondamentale essere unicisti: usare sempre e solo un rimedio, il simillimum, e non si cambia, a meno che non cambi la manifestazione della patologia.
Un conto è curare una tonsillite acuta, un altro affrontare una depressione cronica.
Con quali potenze e dosi?
ambedue dipendono da:
natura del paziente,
natura della malattia,
natura del rimedio.
Le CH hanno un’azione forte, le LM più dolci e profonde: se la patologia e’ molto radicata e se il paziente e’ ben reattivo, le CH possono andare bene, anche le K, ma se il paziente e’ debole e molto sensibile, meglio le LM.
La potenza (diluizione-dinamizzazione) di queste C,DK, K o LM deve essere quindi scelta in base alla reattività del paziente: proporzionale, cioè più è debole il paziente e più bassa la potenza.
la dose, (quantità e frequenza di somministrazione) inversamente proporzionale, (ma solo se ipo): se debole dare poca quantità (in granuli, globuli o gocce, e frequenza) di rimedio; se forte reattività la dose non ha importanza.
Come la legge dei simili è alla base della omeopatia, è legge anche:
iniziare da potenze basse e con dosi basse!
Unica eccezione (nota par. 282) H. la concede nelle manifestazioni acute dei miasmi (es. eczema nella psora, condilomi nella sicosi, ulcera nella syphilis), mentre ciò non si deve fare es. nelle malattie croniche, in malattie radicate, in pazienti deboli, in cui si danno potenze basse e quantità lievi di rimedio (che deve essere simile).
Altra eccezione (par.221), quando compare in maniera acuta una forma psichica, e’ consigliato dare rimedi particolari (Aconitum, Stramonium, Mercurius…) a potenze alte e dosi tenui frequenti.
Bisogna distinguere se si trattano malattie acute o croniche, se si cura un sintomo o si da un simillimum come terapia di fondo.
le alte potenze si possono usare subito se siamo ben sicuri dell’identità del paziente e della sua buona capacità reattiva, no se il contrario, es.a un paziente defedato, tumorale, non è bene dare alte potenze, ma usare potenze dal basso aumentando con cautela, e dosi (quantità di rimedio e frequenza di somministrazione) minime. Grande quantità di rimedio e alta potenza e’ la combinazione più sconsigliata, in linea generale (par. 276)!
Eppure molti seguono questo metodo prescrittivo: vediamo il perché.
Molti omeopati, pare il 90%, usano ancora il metodo prescrittivo della quarta e quinta ed. Organon! Nella quarta, 1829, si pianifica l’uso di «alcuni granuli» in dose unica, senza ripetere il rimedio: metodo «guarda e aspetta». La quinta, 1833, da’ uno stop all’uso delle forme secche, per troppi aggravamenti, e introduce l’uso di soluzioni liquide: si scioglie il rimedio in acqua e si somministra da ogni mezz’ora nelle malattie acute, a ogni giorno o a maggior intervallo, nelle malattie croniche, agitando ogni volta. Parliamo di potenze CH. Poi arriva la sesta, 1842, con la diluizione estrema delle LM: gocce, globuli e granuli, sciolti in acqua, si somministrano in dosi refratte, iniziando in genere dalla 1 LM, ma anche dalla 6 LM, se paziente simillimum, ben reattivo e in malattie acute forti. Dalla 1 LM data anche spesso, si può arrivare alla 30 LM data anche 1 volta al mese.
Schema dott. Brancalion:
1 LM: 2 volte al dì; 2 LM: a dì alterni; 3 LM: ogni 3 giorni; 4 LM: ogni 4 gg; 5 LM: ogni 5 gg; 6 LM: 1 volta alla settimana; 12 LM: ogni 15 gg; 18 LM: ogni 3 settimane; 30 LM: 1 volta al mese.
Quindi: 4° edizione: dose a secco.
5° edizione frazionamento liquido.
6° edizione diluizione estrema.
CH forti, LM dolci ma profonde, K versatili.
Sta a noi scegliere il tipo di rimedio giusto, ma sulla potenza e la dose le regole andrebbero rispettate. Comunque è chiaro che bisogna iniziare con basse potenze, basse dosi, preferibilmente in forma liquida, a vari intervalli. Possiamo diluire i granuli, i globuli, le gocce, le capsule potenziate, le cure, in acqua e somministrare il rimedio nel modo migliore.


NOTA: via di mezzo tra CH e LM: partire da una CH in granuli, diluire 3 granuli in acqua (400 gtt=20ml) + alcool (100gtt=5ml): agitare 100 volte.
1 goccia in alcool (70 gtt=3ml) + acqua (30gtt=1,5 ml): agitare 100 volte.
preparare flacone con contagocce da 30 ml con alcool al 25%.
somministrazione: 3 gtt in acqua. Agitare 2 v./sett.
Metodica del tutto personale, che integra il procedimento di preparazione omeopatica delle CH con quello delle LM: “Cinquantamillesimare le CH”, utile in alcuni casi. CH (n° di potenza del rimedio scelto) LM. Es. Nux Vomica CH(9)LM.

Cahiers de Biotherapie:

Rimedi Omeopatici “Minori”
G. Simeone – Medico P.C. Napolitano – Farmacista


CHELIDONIUM MAJUS
Regno: Plantae
Phylum: Spermatophyta
Classe: Magnoliopsida
Ordine: Ranuncolales
Famiglia: Papaveraceae
Genere: Chelidonium
Specie: Chelidonium Majus L.
Dal greco chelidon: rondine, perché la pianta fiorisce con l’arrivo delle rondini e sfiorisce alla loro partenza o connesso alla convinzione popolare che le rondini usino la linfa per restituire la vista ai loro piccoli divenuti ciechi.

DESCRIZIONE BOTANICA
E’ una pianta erbacea perenne, sempreverde. Comune in Europa, Asia e Nord America. In tutti i suoi organi è presente una rete di canali in cui scorre un lattice giallo vivo e caustico. E’alta sino a 70cm; ha un rizoma cilindrico, ramificato, esternamente bruno-rosso; le foglie radicali sono molli, alterne, sotto glauche e sopra verdi, pennate, picciolate e lobate in cinque segmenti da ogni lato; le foglie cauline sono alterne, bilobate o trilobate a lobi ovali, dentati e arrotondati alle estremità; i fiori giallo oro, formano ombrelle apicali portate da peduncoli ascellari di struttura piuttosto lunga; Il calice ha due sepali caduchi, acuminati e giallastri; la corolla ha quattro petali ovali e molti stami a filamenti rigonfi; i frutti sono capsule verdi, lineari e contengono semi reniformi e nerastri.
COSTITUENTI PRINCIPALI
I costituenti più importanti sono gli alcaloidi a-omochelidonina, cheleritrina, chelidonina, sanguinarina, berberina ed altri meno significativi. Il contenuto in alcaloidi aumenta sino al termine della crescita della pianta ed è maggiore nelle radici. Altri costituenti sono: l’ acido ascorbico, soprattutto nelle foglie; un flavonolo; acido chelidonico; resina; olio etereo; una saponina neutra; enzimi proteolitici nel lattice.
PROPRIETA’ FARMACOLOGICHE
E’ una pianta il cui uso risale a Galeno e Dioscoride. Illustrata nella “teoria delle segnature” dall’ alchimista rinascimentale Paracelso che mise in evidenza la similitudine tra il suo lattice giallastro e la bile. Solo nel 1818 ci fu il primo vero studio farmacologico su questa droga. Si osservò che somministrando un preparato ottenuto dalla droga in toto, a delle cavie (cani), provocava nausea e vomito e, a dosi più elevate, ottundimento della sensibilità fino all’anestesia, difficoltà di movimento, iperemia della mucosa gastrica e bronchiale. In seguito fu studiata l’attività dei singoli alcaloidi. La CHELIDONINA: c’è un certo parallelismo tra l’azione di questo alcaloide e quella della morfina e della papaverina. La chelidonina agisce, infatti, diminuendo il tono dei muscoli lisci dell’ intestino, dell’utero, dei bronchi, dei vasi, ecc. Ha, quindi, un’ azione antispastica, ma diversa da quella dell’atropina poiché il punto d’ attacco è diverso. La SANGUINARINA: a dosi tossiche è un veleno per i muscoli volontari e, applicata localmente, produce irritazione seguita da anestesia locale. La CHELERITRINA: paralizza il centro respiratorio, il centro vasomotore, il centro cardiaco ed eccita le terminazioni nervose sensitive. Applicata localmente, esplica un’azione eccitante e flogogena. Somministrata per via endovenosa, provoca una secrezione oculare acquosa lieve. La a-OMOCHELIDONINA: è dotata di una debole azione narcotica. Gli alcaloidi, sottoforma di sali neutri, hanno una forte azione battericida e presentano una spiccata attività contro i germi del carbonchio e contro gli stafilococchi anche ad una diluizione di 1/1000. Mostrano, inoltre, un’azione antivirale.
IMPIEGO IN FITOTERAPIA
È utilizzata tutta la pianta, compreso il lattice che si fa sgorgare con incisioni praticate sul fusto e che viene poi essiccato e polverizzato. Le caratteristiche dei singoli alcaloidi ne indicano un potenziale uso in una vasta gamma di affezioni, che vanno dalle coliche biliari ed intestinali all’asma, dall’ipertonia gastrica all’angina pectoris. Oggi, per assenza di dati circa la sicurezza d’impiego, l’unico utilizzo conosciuto è quello per applicazioni esterne del lattice su verruche e condilomi. Gli estratti sono anche sfruttati per la formulazione di shampoo antiforfora, in associazione sinergica con lichene islandico e catrami vegetali.

CARATTERI GENERALI
Hahnemann, sperimentando chelidonium in diluizioni omeopatiche sull’uomo sano, ha evidenziato le sue straordinarie proprietà terapeutiche. Chelidonium è il rimedio dello stato in cui vi è una colemia, cioè la presenza di elementi della bile in eccesso nel sangue. Esaminando la composizione chimica, riguardiamo la chelidonina. Si tratta di un alcaloide con nucleo fenantrenico, come molti alcaloidi dell’oppio, come tutti gli steroli, soprattutto il colesterolo. L’analogia tra i componenti chimici di chelidonium e quelli della bile, spiega la sua azione nelle malattie del fegato. È spiegato, così, anche l’utilizzo in quelle degenerazioni cancerose associate ad un’esagerata produzione di steroli nell’organismo. L’iperproduzione e l’eliminazione di indolo, derivate dai residui organici della combustione dei composti a nucleo fenantrenico, conferisce al malato il suo cattivo odore. L’intossicazione avanzata associata alla colemia si manifesterà sul sistema nervoso e sui diversi apparati.
PATOGENESI
– APPARATO DIGERENTE
Sensazione di bocca amara. Lingua con patina gialla che conserva l’impronta dei denti sui bordi rossi (Mercurius-Podophyllum). L’alito è fetido. Desiderio di latte e cibi acidi. Avversione per i cibi grassi. Frequenti eruttazioni sempre amare. Gastralgia che migliora mangiando. Il fegato in toto, e in particolare, il lobo destro, diventa duro e dolente. Caratteristico è il dolore irradiato alla scapola destra. L’addome è teso come se una corda lo stringesse. A causa della congestione del fegato, la bilirubina nel sangue raggiunge valori elevati e si riversa nelle urine. Le feci si schiariscono, sono di colore giallo oro o biancastre e le urine hanno il colore della birra scura. L’alternanza di stipsi e diarrea può diventare stipsi cronica.
– APPARATO MUSCOLO-SCHELETRICO
L’intossicazione, a lungo termine, comporta l’accumulo di tossine nei muscoli, nelle articolazioni, nelle sierose, nei legamenti e nei tessuti fibrosi, provocando dei veri e propri reumatismi (in particolare alle grandi articolazioni). Essi sono accompagnati da gonfiore edematoso, con calore locale e forti dolori. Anche alcune piccole articolazioni sono dolenti, come quelle delle vertebre del collo.
– APPARATO RESPIRATORIO
L’irritazione delle vie respiratorie si manifesta, all’inizio, con raucedine, laringite, tosse parossistica, spasmodica e continua. Il soggetto ha la sensazione di avere un solletico retro sternale. Successivamente, il paziente può presentare asma con manifestazioni notturne, con senso di costrizione della regione diaframmatica ed infiammazione pleuro polmonare che interessa la base del polmone e la pleura destra.


– APPARATO URINARIO
Dolori violenti e spasmodici alle logge renali, in particolare a destra. L’azione di Chelidonium sui reni produce all’inizio una stimolazione con iperfunzionamento e, successivamente, una insufficienza a cui segue cilindruria e disturbi dell’eliminazione dei cloruri.
– APPARATO TEGUMENTARIO
La cute è gialla o grigio-giallastra. Il cronico ha un sub-ittero delle sclere. La pelle può presentare prurito, eczemi ed eruzioni erpetiche in particolar modo in regione sternale, nonché, ulcere vecchie, putride, che tendono ad estendersi.
– SISTEMA NERVOSO PERIFERICO
L’intossicazione più profonda si manifesta a carico del sistema nervoso con un primo periodo di eccitazione ed uno secondario di torpore. Il periodo di eccitazione è più prolungato a carico del sistema nervoso periferico e riscontrabile in dolori che si irradiano alla spalla destra, alla scapola destra, alla regione appendicolare e alle regioni inguinali. Si riscontra, inoltre, in dolori oculari, auricolari e cefalee che appaiono bruscamente nel pomeriggio, durante la fase digestiva, a partire dalle ore 16. La cefalea è sopra-orbitaria destra, è periodica, con la sensazione che il cranio sia troppo piccolo per il cervello e che un laccio stringa la fronte; può provocare nausea e vomito biliare. Costante lacrimazione non irritante.


– SISTEMA NERVOSO CENTRALE
Vertigini al mattino, al risveglio, con tendenza a cadere in avanti, accompagnate da brividi, nausea e vomito biliare. Stato di sonnolenza diurna. Il soggetto avverte una pigrizia crescente e un rallentamento progressivo della funzione cerebrale. Torpore, iporeattività, assenza di coinvolgimento emotivo che sconfina nel disinteresse e nell’apatia. Si sente depresso fino, in casi più rari, a convincersi di aver commesso un crimine. Negli stati acuti ha un delirio tranquillo al quale può succedere uno stato letargico. Un altro elemento dello stato mentale è la sensazione continua di un odore di materia fecale intorno a sé, più soggettivo che reale.
INDICAZIONI CLINICHE
Tutte le patologie epatiche quando è presente un dolore all’angolo inferiore della scapola destra. Stipsi o diarrea con feci acoliche. Urine di colore carico (giallo-oro) per forte presenza di urobilina. Colangiti. Coliche epatiche. Ittero. Epatopatie croniche. Asma. Polmoniti in prevalenza a destra. Emicrania destra.
MODALITA’
– MIGLIORAMENTO
Con il caldo, tranne per le cefalee che migliorano con il freddo; con gli alimenti caldi; con il riposo; coricandosi sul lato sinistro.
– AGGRAVAMENTO
Con il movimento; con i cambiamenti di tempo; alle ore 4 e alle ore 16; coricandosi sul lato destro.

DILUIZIONI USATE
Dalla 4CH alla 15CH; diluizioni basse decimali, quasi sempre a partire dalla 6 DH, presenti nei medicinali omeopatici complessi (drenaggi).
Lateralità: destra
Complementare: Lycopodium
Antidoto: Bryonia
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
• S.Pignatti – Flora d’Italia.
• R.Benigni C.Capra P.E.Cattorini – Piante medicinali. Chimica farmacologia e terapia.
• G.Hodiamont – Trattato di Farmacologia Omeopatica.
• L.Vannier – L’Omeopatia nelle Malattie Acute.
• H.Duprat – Materia Medica Omeopatica.
• J.Jouanny – Nozioni essenziali di Materia Medica.
• D.Demarque J.Jouanny B.Poitevin – Farmacologia e Materia Medica Omeopatica.
• Max Tétau – La Materia Medica Omeopatica Clinica e Associazioni Bioterapiche.
• H.C.Allen – Keynotes e caratteristiche comparate dei principali rimedi della Materia Medica.

Cahiers de Biotherapie:

Pelargonium sidoides, famiglia Geraniaceae
Danilo Carloni

Il genere Pelargonium appartiene alla famiglia delle Geraniaceae, che comprende dieci generi; la caratteristica che accomuna tutti questi generi è costituita dal tipico frutto, di forma allungata che ricorda la testa di un uccello.
Pelargonium deriva dal greco ???????? (pelargos) che significa cicogna, mentre Geranium deriva da ??????? (geranos) che significa gru.
Il genere Pelargonium comprende circa duecentottanta specie, tutte o quasi originarie del Sud Africa, in particolare provenienti dalla provincia del Capo; poche altre sono invece originarie dell’Africa tropicale, della Siria, dell’Australia e delle Isole dell’Oceano Indiano.

Pelargonium sidoides è una pianta semiarbustiva, perenne; cresce su terreni neutri e alcalini in Sud Africa, dove la si trova sia spontanea che coltivata; può raggiungere i 50 centimetri di altezza, produce numerose foglie cuoriformi/arrotondate e lungamente picciolate, vellutate e dal profumo leggermente aromatico. (3)
I fiori sono dotati di cinque petali, di colore caratteristico , generalmente rosso-porpora tendente al nero-viola, dotati di un lungo scapo fiorale.(il colore del fiore costituisce un elemento di distinzione dal Pelargonium reniforme, molte simile al Pelargonium sidoides, ma che porta dei fiori di colore rosa) 1)
Fiorisce praticamente dalla tarda primavera a tutta l’estate , con un picco della fioritura a dicembre
( piena estate in Sud Africa ).
Produce radici tuberose, voluminose, che costituiscono il principale materiale da cui estrarre i componenti caratteristici del fitocomplesso, e vengono raccolte dopo il 3°-4° anno di vita.

Molte specie appartenenti al genere Pelargonium , in alcune regioni del Sud Africa , vantano una notevole importanza nella tradizione della medicina popolare; alcune di queste Geraniaceae costituiscono la base di molti medicinali fitoterapici il cui impiego è ben documentato e diffuso fra diversi gruppi etnici , tra cui gli Zulu, i Bantu, gli Xhosa e i Mfengu ( Watt e Breyer-Brandwijk, 1962; Hutchings 1996).2)
Pelargonium sidoides , grazie alle proprietà curative delle sue radici, è tenuta in alta considerazione dai medici della tradizione popolare e dalla stessa popolazione indigena dei luoghi da cui origina; infatti gode di ampio credito nel trattamento dei disturbi gastrointestinali, nel trattamento delle affezioni delle vie respiratorie, tra cui la tubercolosi, (Helmstadter 1996),e contro la dismenorrea .
Umckaloabo” è il nome con il quale i medici Zulù chiamano l’estratto di radici di Pelargonium sidoides , la parola è costituita dal termine “Umkaluane”che significa “per la cura dei disturbi ai polmoni” e da “Uhlabo” il cui significato è “per il dolore toracico” .

La conoscenza di questa pianta è pervenuta al mondo della medicina “occidentale” a seguito delle colonizzazioni delle regioni meridionali dell’Africa da parte di olandesi e inglesi, nel XVII secolo.
È stato così che gli europei sono venuti a conoscere il pelargonio e il grande ruolo che rivestiva nell’ambito delle terapie locali; tuttavia le spiccate virtù terapeutiche, in particolare nei confronti della tubercolosi, sono emerse solo nel XIX secolo, quando a un ufficiale inglese, il maggiore Stevens, affetto da tubercolosi, venne consigliato di recarsi in un clima più favorevole, quello del sud Africa, per curarsi.
Il maggiore Stevens era da tempo affetto da questa malattia che non sembrava rispondere più alle cure tradizionali e in Sud Africa fu curato da un medico Zulu , che gli prescrisse un decotto realizzato con le radici d Pelargonium sidoides, e che lo guarì.

 

Tornato quindi in Inghilterra , Stevens volle introdurre un nuovo rimedio, segreto, che chiamò Stevens’ Comsumption Cure, per il trattamento della tubercolosi.
Agli inizi del ‘900 l’ex medico missionario svizzero Adrien Sechehaye venne a conoscenza della innovativa terapia di Stevens e volle sperimentarla; la utilizzò per nove anni ,con buoni risultati, trattò circa ottocento pazienti e pubblicò successivamente i risultati dei suoi lavori e la relativa casistica.
Vista l’efficacia , la droga è stata utilizzata a lungo in Europa per il trattamento della tubercolosi polmonare , ma venne poi abbandonata con l’avvento dei tuberculostatici di sintesi.

Gli estratti di Pelargonium sidoides godono oggi di notevole credito presso numerosi paesi europei
In Germania Pelargonium sidoides è iscritto dal 1957 nella Rote Liste come farmaco per il trattamento della bronchite cronica, ha mantenuto il nome originale “Umckaloabo” e dal 1975 è utilizzato, dopo il primo anno di età, come farmaco registrato indicato per il trattamento delle affezioni delle vie aeree. (14)

I principali costituenti attivi, estratti dalle radici della pianta sono riferiti essenzialmente a composti fenolici semplici come alcune cumarine e a tannini del tipo delle proantocianidine.
In particolare emerge l’alto grado di ossigenazione delle cumarine, rendendo queste rare sostanze, un marker chimico della pianta.
Fra le più importanti si ritrova la 7-idrossi-6-metossicumarina, la 5,6,7-trimetossicumarina, la 7-idrossi-5,6-dimetossicumarina, la 6,8-diidrossi-7-metossicumarina, la 6,7,8-trimetossicumarina cui vanno aggiunte altre solfato-derivate.4)
Il fitocomplesso comprende inoltre acido gallico e alcuni suoi derivati; flavonoidi in partcolare flavanoli; minerali fra cui Calcio e Silicio; proantocianidine ad alto peso molecolare;

Grazie a questa particolare formulazione , il fitocomplesso del pelargonio risulta particolarmente attivo nei confronti di numerose affezioni dell’apparato respiratorio ; il suo tradizionale utilizzo nei confronti del bacillo di Koch, trova oggi un razionale scientifico che ne spiegherebbe, almeno in parte, il meccanismo d’azione: l’attivazione dei macrofagi e quindi del sistema immunitario aspecifico.
Una delle caratteristiche più particolari della malattia tubercolare riguarda l’attacco primario ai macrofagi e la risposta immunitaria dei macrofagi stessi; essi sono infettati con un attacco endocellulare e sono contemporaneamente i “primi attori” espressi dall’ospite nella difesa contro l’infezione del micobatterio.
I macrofagi , definiti anche cellule spazzino, sono il cardine dell’immunità naturale, la loro attivazione è stimolata intensamente dal Pelargonium sidoides ; si ipotizza che il fitocomplesso possa favorire , in corso di infezione, la funzione di difesa dei macrofagi , incrementando, da parte degli stessi, la produzione di monossido di azoto ad azione microbicida.
In un test condotto presso l’Università di Berlino,5) sono stati analizzati macrofagi infettati da Leishmanie e successivamente è stato valutato se le quantità di monossido di azoto indotte dalle sostanze contenute nella droga fossero superiori a quelle naturalmente prodotte dai macrofagi; un segnale evidente di tale attività è costituito dall’indice di sopravvivenza delle cellule infettate da Leishmanie: in presenza dei costituenti del pelargonio, in particolare l’acido gallico, l’indice di sopravvivenza viene ridotto all’1%, con l’aggiunta di sostanze inibenti la sintesi di monossido di azoto, la sopravvivenza delle cellule infettate sale al 60%. ( gli estratti della radice di Pelargonium sidoides incrementano la produzione di ossido nitrico attivando, con il coinvolgimento della NADPH, l’enzima Ossido nitrico Sintasi (NOS) che catalizzando a sua volta la trasformazione dell’arginina in citrullina, produce Monossido di azoto che in presenza di ossigeno forma composti perossinitrici, potenti microbicidi) .
Questi dati attribuirebbero alla pianta un’importante azione di stimolo della funzione fagocitaria dei macrofagi e della loro capacità di produrre sostanze microbicide come il monossido di azoto e di specie ossigenoreattive ; la stimolazione macrofagica, determina inoltre un incremento della produzione di citochine attivanti la risposta immunitaria, in particolare IL1-?, IL-12 , TNF-?; è importante evidenziare che Pelargonium sidoides (Eps 7630®), interagisce con l’INF-?, che svolge un ruolo importante nello stimolo del processo di fagocitosi, di chemiotassi, di produzione di anticorpi da parte dei linfociti B , di attivazione dei Th1 che con meccanismo a feedback aumentano l’espressione di IL-12,TNF-? e INF-? stesso. 16)


Recenti studi hanno evidenziato l’attività della droga sulla clearance muco-ciliare della mucosa respiratoria; a seguito della somministrazione di un estratto di Pelargonium sidoides (Eps 7630®), il battito ciliare delle cellule epiteliali della mucosa respiratoria umana , ha incrementato la frequenza in modo crescente e dipendente dalla concentrazione del preparato; tale attività permette una più rapida eliminazione dalla superficie mucosa respiratoria , dei patogeni , del muco in eccesso, di materiale estraneo, determinando così un miglioramento della funzione respiratoria, un maggior controllo dell’infezione e della sintomatologia correlata.
Il meccanismo dell’azione secretomotoria, sicuramente favorito dall’attività antiadesive del fitocomplesso, sembra dover essere ricondotto a un effetto inibitorio a carico dei recettori muscarinici situati sulla muscolatura liscia dell’epitelio respiratorio; questa inibizione dipenderebbe dalla attivazione dell’iNOS (sintasi inducibile dell’ossido nitrico) e dal coinvolgimento del cGMP che regola la contrattilità della muscolatura liscia e relativo movimento ciliare.6)

Uno studio pubblicato su Phytomedicine 14 (2007) ha evidenziato la proprietà del Pelargonium sidoides di ridurre l’adesività batterica di Streptococcus pyogenes, a cellule epiteliali Hep-2, suggerendo un ulteriore meccanismo sulla funzione antibatterica della droga.

L’inibizione dell’adesione alle cellule epiteliali è in parte dovuta,(si stima per il 30-40%), alla presenza delle proantocianidine del Pelargonium sidoides ; il meccanismo non è perfettamente noto, si ritiene che le proantocianidine possano interagire direttamente con i patogeni, in particolare con i fattori di legame a livello della superficie cellulare, impedendo la produzione di adesine e non intervenendo in modo competitivo nei confronti dei recettori delle cellule epiteliali ospiti; tale meccanismo verrebbe confermato dal fatto che l’attività antiadesiva si verificherebbe principalmente solo dopo il contatto diretto degli estratti della pianta con i microrganismi e che invece il pretrattamento dei tessuti epiteliali, con la droga, non sarebbe in grado di impedire la capacità di adesione.7)

L’estratto etanolico di radici di Pelargonium sidoides ha comunque anche evidenziato un azione antimicrobica diretta, seppur moderata verso numerose specie batteriche; studi condotti in vitro mostrano un’attività antibatterica verso Klebsiella pneumoniae V 6089 con una MIC di 13,8 , verso Escherichia coli ATCC 25922 con una MIC > 13,8 , verso Pseudomonas aeruginosa ATCC 27853 con una MIC > 13,8 , verso Proteus mirabilis ATCC 14153 con una MIC 3,3 , verso Staphylococcus aureus ATCC 25923 con una MIC 3,3 , e verso vari ceppi multiresistenti di Staphylococcus aureus con una MIC di 3,3.8)

In una ricerca condotta dal Prof.Soresi, primario di Pneumologia dell’ospedale Niguarda di Milano,pubblicato su Medicinae Doctor XVIII, 3, 2011, sono stati esaminati e trattati con estratti etanolici standardizzati di Pelargonium sidoides ,vari gruppi di soggetti fra cui anche pazienti bronchitici cronici, bronchiectasici, portatori di infezione cronica delle vie respiratorie.
La somministrazione dell’estratto ha permesso di ridurre la carica batterica , ha potenziato le reazioni di difesa immunitarie , ha inoltre ridotto lo stress endoteliale dovuto alle tossine batteriche e l’eccesso di radicali liberi prodotti dal maggior lavoro macrofagico ; questo effetto, fondamentalmente legato alla significativa presenza dei composti flavonoidici,.è molto importante perché dimostra che la notevole capacità antiossidante del fitocomplesso è in grado di controbilanciare la produzione di perossinitriti derivante dalla stimolazione dei macrofagi. 9)

L’attivazione dei macrofagi ha determinato la liberazione di citochine fra cui l’interferone gamma e il TNF alfa, ha inoltre favorito la funzione delle cellule natural killer (NK), esplicando così anche un’azione antivirale.
Questo effetto viene poi amplificato dal fatto che il Pelargonium sidoides contribuisce alla biosintesi di IFN-?, incrementandone la concentrazione; sebbene l’IFN-? non possegga una azione antivirale diretta, tuttavia favorisce la produzione intracellulare di proteine attive che, a livello delle cellule sane adiacenti quelle infettate, induce uno stato di maggior resistenza al virus stesso; inoltre IFN-? è un mediatore di effetti immunoregolatori come quello legato allo stimolo dell’attività delle cellule natural killer.10)

Essendo la maggior parte delle infezioni a carico del sistema respiratorio e della sfera ORL, di origine virale, il Pelargonium sidoides, grazie alle proprietà precedentemente descritte, può fattivamente contribuire al controllo della diffusione dei virus nei soggetti affetti da tali patologie.

A conferma di quanto sopra esposto, sono stati recentemente presentati al congresso AFI di Rimini, i risultati di due studi, condotti in doppio cieco, randomizzati e verso placebo, nei quali sono stati dimostrati l’efficacia e la sicurezza del Pelargonium sidoides nel trattamento del raffreddore comune.11)
I lavori hanno coinvolto complessivamente 196 soggetti, maschi e femmine, di età compresa fra i 18 e i 55 anni , 99 di questi hanno assunto l’estratto etanolico titolato e standardizzato della pianta (Eps 7630®,) mentre i restanti 97 ricevevano il placebo. Sono stati condotti due trials , entrambi per dieci giorni; al termine sono stati valutati sia i sintomi di maggior rilevanza clinica, come naso chiuso e mal di gola, che quelli minori, come congestione nasale, tosse, mal di testa, dolori muscolari e febbre.
E’ significativo rilevare che già dopo 5 giorni nei soggetti trattati con Eps 7630®,, i sintomi descritti venivano significativamente ridotti, permettendo la ripresa della normale attività quotidiana; la valutazione, effettuata da personale medico, evidenzia un ottimo grado di soddisfazione dei soggetti accanto a una grande tollerabilità del trattamento e senza particolari reazioni avverse.

In un recentissimo lavoro, eseguito a Francoforte presso l’Università Goethe Istituto di virologia, sono stati valutati gli effetti prodotti dagli estratti di radice del pelargonio nei confronti dell’attività di alcuni virus respiratori. In sintesi è emerso che l’azione della pianta è in grado di inibire, in vitro, direttamente la progressione virale di numerosi virus respiratori, come i virus influenzali H1N1 e H3N2, il virus respiratorio sinciziale, il coronavirus ( HCo 229°), il virus parainfluenzale (parainfluenza 3) e il coxsackie virus ( coxsackie A9 ). 12)

Gli estratti standardizzati di Pelargonium sidoides sono stati ampiamente utilizzati in vari studi che ne hanno dimostrato l’efficacia e la sicurezza di impiego in numerose manifestazioni patologiche a carico delle vie respiratorie superiori e inferiori; l’estratto etanolico, registrato in Germania con la sigla Eps 7630®, viene normalmente utilizzato sotto forma di compresse da 30 mg da assumere tre volte al giorno o come estratto etanolico al 12% (V/V) in gocce.(13)
Non sussistono dati che permettano l’impiego in sicurezza della pianta durante la gravidanza e durante l’allattamento; non va utilizzata in soggetti che hanno intrapreso terapie anticoagulanti e in coloro che sono affetti da gravi patologie epato-renali.
Sono stati riscontrati alcuni casi di irritazione cutanea,ma in soggetti che avevano già presentato manifestazioni allergiche; i sintomi sono tuttavia scomparsi subito dopo la sospensione della terapia.
Pelargonium sidoides è comunque una pianta che presenta ampia sicurezza di utilizzo, anche in ambito pediatrico ; un’analisi svolta in Germania ha evidenziato che dal 1994 al 2006, su 304 milioni di dosi giornaliere di estratti della pianta, si sono verificati solo 257 casi sospetti di effetti collaterali, pari a 0,27 casi ogni milione di dosi giornaliere ( fonte Loacker Remedia).
In Germania l’estratto etanolico Eps 7630®, è un OTC il cui uso è autorizzato dal primo anno di età ed è leader nel mercato dei farmaci da banco per le malattie da raffreddamento;15) in Svizzera, Spagna e Olanda trova indicazioni dal secondo anno di età, in Inghilterra si può utilizzare dopo il sesto anno .
Pelargonium sidoides verrà inserito nel 2012 tra le specie vegetali monografate dal Committee on Herbal Medicinal Products (HMPC) dell’European Medicines Agency (EMeA). La monografia riporta l’utilizzo della droga e dell’estratto etanolico liquido (etanolo 11% V/V) (rapporto droga: estratto 1:8-10) per il trattamento sintomatico del raffreddore comune. (http://www.ema.europa.eu/docs/en_GB/document_library/Herbal_-_Community_herbal_monograph/2011/04/WC500105388.pdf)

Oggi anche in Italia l’estratto etanolico standardizzato di Pelargonium sidoides è stato registrato come farmaco di automedicazione utilizzabile contro le malattie da raffreddamento.

Danilo Carloni, farmacista, erborista, SIFIT, docente SMB.

Riferimenti bibliografici
1) Loacker REMEDIA documentazione scientifica, Pelargonium sidoides
2)Kolodziej H., Kaiser O., Radtke O.A. et Al, Profilo farmacologico degli estratti e delle componenti di Pelargonium sidoides Phytomedicine 10-2003 suppl. IV p.18-24
3)AltHealth Pelargonium sidoides 27th 09-2005
4)Kolodziej H., Kiderlen A.F., In vitro evaluation of antibacterial and immunomodulatory activities of Pelargonium reniforme,Pelargonium sidoides and the related herbal drug preparation Eps 7630®; Phytomedicine 14 (2007) SVI 18-26
5)Thale C., Kiderlen A.F., Kolodziej H., Anti-infective Activities of Pelargonium sidoides (Eps 7630®): Effects of Induced NO production on Leishmania major in infected macrophages and antiviral effects as assessed in a fibroblast-virus protection assay; Planta Med
6)Neugebauer P., Mickenhagen A., Siefer O. et Al, A new approach to pharmacological effects on ciliary beat frequency in cell cultures-exemplary measurements under Pelargonium sidoides extract (Eps 7630®,) Phytomedicine 12 (2005) 46-51
7)Janecki A., Conrad A., Engels I. et Al., Evaluation of an aqueous-ethanolic extract from Pelargonium sidoides (EPs7630®) for its activity against group A-streptococci adhesion to human Hep-2 epithelial cells J Ethnopharmacol 2011; 133: 147-152
8)Kolodziej H., Pelargonium reniforme and Pelargonium sidoides : their botany, chemistry and medicinal use . In geranium and Pelargonium, Lis-Balchin M (ed) , Plenum Press, London , 262-290, 2002
9)Soresi E., Estratto delle radici di Pelargonium sidoides (EPs7630®) nelle malattie broncopolmonari; M.D. Medicinae Doctor XVIII, 3, 2011
10)Conrad A., Hansmann C., Engels I.et Al: Extract of Pelargonium sidoides (EPs7630®) improves phagocytosis oxidative burst, and intracellular killing of human peripheral blood phagocytes in vitro Phytomedicine 14 (2007)SVI 46-51
11)Lizogub V.G., Riley D.S., Heger M.et Al; Efficacy and safety of an extract of Pelargonium sidoides (EPs 7630®) in the treatment of the common cold; Abstract Convegno AFI 06-2011
12)Michaelis M., Doerr H.W., Cinatl jr. J.; Investigation of the influence of EPs7630®, a herbal drug preparation from Pelargonium sidoides, on replication of a broad panel of respiratory viruses, Phytomedicine XXX (2010) 509-47
13)Conrad A., Jung I., Tioua D. et Al; Extract of Pelargonium sidoides(EPs7630) inhibits the interactions of group A-streptococci and host epithelia in vitro. Phytomedicine 14 (2007) supplement VI p.52-59
14) Rote-Liste AulendorfWurtt:Editio Cantor; excepts 1957,1959,1961,1963,1935,1967,1969.Umckaloabo
15)IMS Pharmascope Germany
16) Maggi F. Dip.Scienze Farmacologiche Università degli Studi Milano,Farmacognosia del Pelargonium sidoides : un caso paradigmatico di fitoterapico; Medicinae Doctor-AnnoXVIII numero 11.21 settembre 2011

Cahiers de Biotherapie:

Il conte Sebastiano de’ Guidi e la diffusione dell’omeopatia in Francia.
Dott. V. De Paola

La diffusione della medicina omeopatica negli ultimi anni ha subito un incremento esponenziale ed oggi è praticamente presente quasi dappertutto.
Non è stato tuttavia facile il suo cammino e per molto tempo ha dovuto segnare il passo per gli ostacoli che la medicina accademica gli ha frapposto.
Ancora oggi, nonostante gli innumerevoli studi che vengono continuamente pubblicati, non tanto gli scettici, quanto soprattutto i prevenuti, continuano a non voler accettare la metodologia omeopatica che si inserisce sicuramente in modo fattivo e valido nelle potenzialità di cura che in “scienza e coscienza” consentono al medico, fedele al giuramento Ippocratico, di curare “con diligenza, perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della professione”
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’Italia è stata tra i primi paesi ad accogliere l’omeopatia e Napoli è stata la prima città dove si diffuse.
La diffusione dell’Omeopatia in Italia avvenne al seguito delle truppe austriache chiamate, nel 1821, dal Re Ferdinando I a seguito delle sommosse avvenute nel Regno di Napoli.
Tra i Medici militari tedeschi, fu il Dott. Necker di Melnik quello che più contribuì alla diffusione dell’Omeopatia in Italia; egli aprì a Napoli un dispensario e attorno a lui si coagularono quei discepoli che poi saranno i principali artefici della storia dell’Omeopatia di Napoli, i Dottori: Cosmo de Horantiis, Francesco Romani e Giuseppe Mauro.
Un medico italiano, esule napoletano divenuto cittadino francese nel 1802, fu tuttavia il responsabile della diffusione e dello sviluppo dell’omeopatia in Francia, il conte de Guidi.
Sebastiano conte de Guidi era nato il 5 agosto 1769 in Guardia Sanframondi, attualmente provincia di Benevento, da Andrea de’ Guidi e Aurelia Genoveffa Tessitore.
Nel suo paese natale gli è stata dedicata una strada e l’Istituto Comprensivo Statale.
Per quanto il suo nome sia preceduto dal titolo di Conte a Guardia non si ha traccia di uso del titolo nobiliare. Ma i Guidi erano originari della Toscana e Casa Gudi a Firenze aveva per tutti i maschi il titolo di conte e di patrizio fiorentino come riporta il Marrocco nell’Annuario dell’Associazione Storica del Sannio Alifano (1966).
All’età di 9 anni, per la sua indole vivace e il grande amore che portava allo studio fu affidato dai genitori ai suoi fratelli Girolamo e Filippo de Guidi che vivevano a Napoli.
Il fratello Filippo, che era nato diciassette anni prima, fu ai suoi tempi molto famoso. Docente di matematica, fisica e chimica, divenne Rettore della Regia Università degli Studi di Napoli
Fu allo stesso tempo matematico, fisico, chimico. Di lui si ricordano la cattedra di Astronomia all’Università di Napoli nella facoltà di Scienze, insegnante di Fisica e Matematica alla scuola ospedale degli Incurabili di Napoli, alla Regia Accademia di Marina di Napoli e alla scuola centrale di Tournon a Lione (Francia), la sua carriera si concluse con la nomina a Rettore della Regia Università degli Studi in Napoli.
Il fratello Sebastiano, invece, coltivò con costanza e con metodo sia la letteratura italiana e latina, che la matematica e la fisica, la chimica, oltre che la medicina e le leggi criminali e civili.
Nel gennaio 1783 Sebastiano è eletto avvocato ordinario della città di Napoli.
Nell’agosto 1799, all’età di trent’anni, si ritrova in Francia.
Il Marrocco nel citato Annuario riporta: “Con Andrea Mazzarella da Cerreto, i Guidi vivono quelli an¬ni tra studi e sogni, in un presente per cui non simpatizzano, avendo nell’animo la visione di un nuovo avvenire. Si spiega la fondazione, fra loro, di una cellula segreta. La chiamarono « Or¬dine Telesino », forse attuazione di organizzazione più vasta, dall’’ideologia irriducibilmente liberale e antiassolutista.
La rivoluzione dopo aver trionfato, e dopo essersi evoluta in Francia, aveva imposto tante repubblichette, e una era stata la Partenopea, durata cinque mesi. Nel Giugno era finita. I tre, ignorando di esser pedinati, si fecero scoprire proprio mentre inneggiavano all’occupazione francese. La fuga fu romanzesca, ma le notizie sono contraddittorie al riguardo. Il Jaricot asserisce che Sebastiano fu ferito, e doveva essere impiccato. Siamo nell’ agosto ’99. Riuscì ad aggrapparsi ad una nave francese in partenza da Napoli. Filippo invece, e Mazzarella furono arrestati, rimasero a Sant’Elmo diciotto mesi, poi riuscirono a fuggire anch’essi in Francia.
Sebastiano, a Marsiglia, è scortato dalla Polizia a Lione. Da notare che alcuni biografi hanno fatto confusione fra i due fra¬telli esuli, hanno attribuito a Sebastiano fatti di Filippo, e vi¬ceversa. Andremo perciò cauti.
La confisca dei beni, il 17 Gennaio 1800, fu la conseguenza della fuga.
In terra di Francia provò, inutile dirlo, anche la miseria.
L’ingegno s’impone, e già dai primo Ottocento sappiamo di lui che era aiutante di J. M. Raimond titolare della cattedra di chimica tintoria a Lione. Riesce vincitore al concorso, ed è nominato pro¬fessore di matematica al liceo di Privas, allora detto di l’Ardèche (1801) e Tournon, e di qui al liceo di Lione (1803). Vi insegnava Chimica e Matematica, e Ampère Matematica e Fi¬sica nelle classi inferiori.
E’ di questi anni un breve viaggio a Napoli, che « per materiali e morali cambiamenti a lui parve città novella o rifatta ». Fu anche a Guardia. E’ di questi anni il matrimonio. Da quando è arrivato in Francia non ha mancato di scrivere molte lettere al fratello Giovan Battista, il superstite Guidi a Guardia. E in esse lo informa di tanti aspetti della vita politica del Consolato e dell’Impero. Con decreto dell’11 Termidoro XI (1802) diviene cittadino francese.
Nel 1810 è a Marsiglia al liceo imperiale — con lui è Fi¬lippo — e vi insegna discipline fiìosofìche. E’ nominato Inspecteur dell’Università a Grenoble e a Metz (1813), e nel ’19 a quel¬la di Lione, e in tale carica resta fino ai ’34. E’ infine promosso Officier de l’Université de France. E consegue infine il « dotto¬rato » in Scienze (1819), e in Medicina (1820) a Strasburgo, dopo resistenze a causa dell’età.”
Come già citato dal Marrocco, avendo trascurato gli affari di famiglia per molti anni, fu costretto a tornare nella sua terra natale e a Napoli.
La cosa che attirò di più la sua attenzione ed assorbì di più il suo studio fu l’omeopatia, nata dal genio dell’Hahnemann e di cui nulla aveva udito in Francia.
Francesco Romani, dottore in Filosofia e medicina, scrive la biografia del Conte Sebastiano Guidi, da cui sono tratte queste informazioni, con testo pubblicato a Napoli, dalla tipografia del Poliorama nel 1837.
Scrive così il Romani che in un giorno di settembre del 1828 si presentò nel suo studio il Conte Sebastiano de Guidi con una lettera di presentazione del dottor Cimone, comune amico, che gli chiedeva di prendere come paziente per una cura omeopatica, la consorte del conte che da lungo tempo era afflitta da una grave malattia ed inefficaci erano sino ad allora risultate le cure, gli aiuti e la sapienza di molti medici francesi inutilmente interpellati.
In poco tempo la moglie si giovò dei medicamenti omeopatici somministrateli, al punto che alla fine si trovò sana e salva.
Durante la cura anche il conte approfittò dei ragionamenti che spaziavano dall’allopatia all’omeopatia e che il Romani gli somministrava.
D’altra parte nel periodo del risanamento della moglie il de Guidi fu spettatore di molte guarigioni avvenute sotto gli auspici di altri grandi omeopati napoletani, tra cui il commendatore de Horatiis, e i dottori Mauro, Cimone e Iannelli.
Aveva anche conosciuto parecchi nobili guariti dal Cav. Necher che aveva introdotto nel settembre 1821 la pratica dell’omeopatia in Italia.
Ma di tutte queste cose il Conte Sebastiano de Guidi ne racconta diffusamente nella sua lettera ai medici francesi.
“II conte Guidi nell’estate 1828, sospeso dalle funzioni sotto il Ministero Villèle, era venuto a Napoli.
La capitale del regno partenopeo, per quanto riguarda l’Omeopatia, era divenuta in Italia quel che Lipsia era in Germania. Ufficiali medici austriaci, durante l’occupazione militare del 1820 vi avevano diffuso il nuo¬vo metodo specie nella Sanità militare. Il Dr. Necker medico del Generale Comandante in capo era omeópata.” (Marroccoli)
Altra circostanza che favorì l’interessamento del de Guidi fu l’apertura nel 1829, per volere del Re Francesco I, di una clinica omeopatica nell’Ospedale militare della Trinità, diretta dal commendatore de Horatiis e dal Romani.
I risultati ottenuti superarono ogni aspettativa e gli confermarono la necessità di apprendere l’Omeopatia e di professarla e diffonderla.
Difatti dei 60 malati raccolti nella clinica in soli 155 giorni, con i propri occhi ne vide 52 recuperare perfettamente la salute, sei migliorarono notevolmente e soltanto due perirono, ma erano arrivati in clinica già con una situazione notevolmente compromessa.
Verso la fine di quell’anno il de Guidi tornò in Francia arricchito dalle nuove conoscenze e dei nuovi rimedi.
Il Romani lo definisce pieno di spirito giovanile benché fosse ormai nel suo sessantesimo anno, desideroso soprattutto di poter recare beneficio alla terra che lo aveva accolto, ricolmandolo di onori e di agiatezza.
La grande e bella città di Lione fu dunque il luogo dove il de Guidi iniziò la sua attività di omeopata desideroso di giovare agli uomini ed alla scienza, come dice il Romani.
Curò moltissimi malati e divulgò presso gli altri medici la dottrina omeopatica che aveva appreso in patria, consentendone la divulgazione. Successivamente contribuì a diffonderne i principi anche in Svizzera.
Il colera poi che in quegli anni si diffuse un po’ ovunque ne determinò il successo come efficace metodo terapeutico in valida contrapposizione alla medicina allopatica.
Furono quegli gli anni della ben conosciuta lettera ai medici francesi sull’omeopatia pubblicata nel 1832, che piacque tanto da essere pubblicata in tedesco dal dott. Haubold, in inglese dal dott. Channing e due volte in spagnolo dal dott. Lopez Pingiano che aveva già tradotto le opere di Hahnemann e dei più importanti omeopati del tempo e dal dott. Villalba, sottosegretario di stato del Ministero delle relazioni straniere a Madrid.
Furono anche gli anni dei primi contrasti con i medici allopatici del tempo.
Difatti nel 1835 il Conte de Guidi pubblicò una “Lettre a MM les membres de la societé royale de médecine, sur la reponse qu’ils ont adressé au ministre de l’instrution publique en avril 1835, au sujet de l’homeopathie, à Lion.”
In quanto l’accademia di medicina di Parigi aveva criticato l’omeopatia ed il dottor Mabit che dirigeva, con successi lusinghieri, una clinica omeopatica a Bordeaux dove salvava quasi tutti i pazienti che si ricoveravano con il colera.
Mentre non altrettanto si poteva affermare delle terapie allopatiche del tempo.
Seguirono poi il suo esempio i dottori Crépou, Blanc, Croserio e Leon Simon che elaborarono altrettante vigorosissime risposte all società reale di medicina che sono riportate negli “Archives de la medicine Homeopathique publies par une societé de médicins sous la direction de M. le docteur Jourdan membre de l’academie royale de medicine”.
Il Romani ricorda poi come abbiano contribuito in quel periodo alla diffusione ed alla difesa dell’omeopatia dagli attacchi degli oppositori sia il giornale omeopatico del Gross e di Scweikert, ma anche la biblioteca omeopatica dei dottori ginevrini Dufresne e Peschier: Con i “tesori preziosissimi di medicina anemanniana, degni dello studio de’ medici non solo, ma di tutti i dotti dell’universo.”
Il Bigel che introdusse l’omeopatia in Russia dedicò la sua prima opera alla nazione francese e al conte de Guidi il “Manuel dietetique de l’homeopathie” pubblicato a Varsavia nel 1833.
Citiamo ancora il Marroccoli. “Tanto intelligente lavoro ebbe il suo culmine, manifesto, commosso, al congresso di Lione, il 17 Settembre 1833. Il conte Guidi era salutato « benemerito della patria, regno di Napoli, della Francia, e dell’umanità». Fu coniata una medaglia d’oro colla sua effìgie, e gli fu offerta da trecento fra ammiratori e malati guariti. Egli era il terzo dei grandi italiani che alla terra di Francia offrirono le primizie del loro altissimo ingegno il primo era stato Volta che per primo mostrò all’Istituto Nazionale i prodigi della pila, l’altro era Gatti che per primo vi curò il vaiolo Dalla sua casa in Rue St. Dominique, 14 (oggi Rue Emile Zola) era uscita la Società gallicana di Omeopatia.”
Con l’avanzare dell’età fu costretto a ridurre gradualmente l’attività.
Nonostante tutto nel 1854, a 85 anni, presiedette ancora un congresso a Lione e con l’occasione pronunziò vari discorsi.
Nel ’35 era stato decorato con la Légion d’honneur, e l’avevano voluto socio l’Accademia Reale di Scienze di Napoli e la Pontaniana, quella di Torino e quella di Nimes.
Si spense a 94 anni dolcemente, continuando a lottare contro le calunnie che venivano messe in giro contro l’omeopatia.
Non aveva avuto figli, ma lasciava tantissimi seguaci, tanto che il Gallavardin disse: “ Heureux vieillard, qui sans avoir d’enfants, laisse une nombreuse postérité!” (Marroccoli).
Di lui resta a Lione un ritratto di A. Flandrin nel museo St. Pierre.
Chiude il suo articolo sull’annuario il Marroccoli con queste parole:
“Per novant’anni fu quasi dimenticato dal grosso pubblico. Ma viveva e lavorava con la sua legittima creatura: la Sociéié Rhodanienne d’Homéopathie.
II 17 Marzo 1957 a Lione, nel cimitero di Loyasse, una nuo¬va tomba per i suoi resti mortali veniva inaugurala in occa¬sione dell’assemblea della Società. L’iniziativa era stata del Dr. Boiron, e con lui aveva collaborato il Dr. Jaricot.
Erano stati invitati i discendenti. Unica fra essi era rimasta la signora. Ida Sebastianelli in Biondi che autorizzò la traslazione, il sindaco Herriot, e il console Orlandini. L’iscrizione ri¬cordava fra l’altro: « …En 1830 il introduisit l’Homéopathie a Lyon, et la propagea en France ».
Il « «grande De Guidi » era ricordato dal Duprat nella sua prestigiosa opera. Ancora una volta, al detto « Homo homini lupus » di Plauto e di Hobbes, veniva preferito quello di Hahnemann « Homo homini deus».
Il medico, ridonando colla sani¬tà la vita e la gioia di vivere, realizza un’opera che, sa di miraco¬lo e di amore, e perciò è divina. Il Guidi, intimamente religioso, aveva detto al suo biografo Jules Forest: « Je n’ai point eu de merite réel. C’est la main de la Providence qui m’a dirige ». La Natura medicatrix, più specificamente la vis medicatrix naturae appariva all’evidenza dall’opera di lui, che era consistita in questo: un’individuazione minuziosa e completa del malato at¬traverso la penetrazione della sua anima e del suo corpo, una perfetta conoscenza di chi soffre nel rispetto dell’integrità or¬ganica.”

Bibliografia:
F. Romani, “Cenno biografico del conte Sebastiano de’ Guidi introduttore della omiopatia in Francia”, Poliorama, Napoli, 1837
S. Guidi, “Lettres aux medicins francais sur l’homeopathie”, Maison de Commerce, Lyon, 1836
D. Marrocco, “Sebastiano Guidi e l’omeopatia in Francia”, Associazione Storica del Sannio Alifano, Annuario 1966, Arti Grafiche Ariello, Napoli 1966

Cahiers de Biotherapie:

Il Farmacista e l’Omeopatia
Elena Rastaldi

Considerando i cambiamenti istituzionali, sociali e di mercato cui stiamo assistendo ormai da diversi anni, si evidenzia quanto il settore sanitario in generale e quello farmaceutico in particolare stiano affrontando una fase di profonda evoluzione.
La dimensione economica dominante a livello globale e la crisi generale del mercato hanno determinato un inasprirsi del contenimento della spesa pubblica con ulteriori ripercussioni sul nostro settore ed un crescente calo dei margini di profitto.
Indubbiamente lo scenario che abbiamo di fronte non e’ facile, ma piangersi addosso e scegliere di rimanere immobili in attesa di giorni migliori non e’ la soluzione da adottare. La farmacia concepita secondo i canoni tradizionali, che fa affidamento sul solo farmaco non può sopravvivere, bisogna costruire una farmacia nuova, capace di fornire servizi innovativi, un reparto commerciale qualificato e specializzazione, da intendersi sia in termini di prodotto e assortimento che di livello di servizio offerto.
Il concetto di “Think different”, molto caro a Steve Jobs, deve essere alla base del rinnovamento, percorrendo la via della trasformazione in un presidio moderno, in grado di assicurare la dispensazione del farmaco, ovviamente, ma anche di investire in settori che valorizzino la nostra professione e al contempo garantiscano l’aspetto economico della remunerazione, senza il cui il sostegno la farmacia non può sopravvivere.
La situazione economica attuale costringe il SSN ad erogare sempre meno prestazioni a suo carico chiedendo al cittadino un contributo crescente sui costi delle prestazioni sanitarie: l’obiettivo in un futuro non lontano sarà l’intento di riqualificare l’intera offerta sanitaria attraverso il potenziamento dell’assistenza territoriale a fronte di una necessaria deospedalizzazione.
Colmando il vuoto che si verrà a creare, il sistema farmacia che si distingue grazie alla presenza capillare sul territorio e alla facilità di accesso, ha la possibilità di diventare un centro di riferimento per il controllo e la prevenzione della salute, a salvaguardia delle categorie più deboli e più bisognose di essere monitorate come gli anziani e i malati cronici.
A questo proposito, tra i vari provvedimenti che hanno scosso la farmacia e che hanno suscitato negli anni polemiche e scontenti, la legge 69/2009 e poi il Decreto Legislativo 153/09 ci offrono invero nuove potenzialità, permettendoci di fornire nuovi servizi ai cittadini, tra cui prestazioni analitiche di prima istanza, servizi di secondo livello erogabili con dispositivi strumentali e prestazioni professionali da parte di altri operatori sanitari quali infermieri o fisioterapisti, nonché la possibilità di ampliare l’offerta dei servizi anche in campo dermocosmetico .
Tutto questo ovviamente determina la necessità da parte del farmacista di acquisire nuove competenze che il percorso universitario ancora oggi proposto non è in grado di fornire, limitandosi a trasmettere la tradizionale preparazione accademica, senza dubbio insufficiente ed inadeguata.
Oltre alle competenze specifiche tecnico scientifiche è ormai più che necessario avere maggiori conoscenze cliniche, di farmaco-economia, di gestione del personale, di strumenti manageriali, questi ultimi fondamentali per gestire l’azienda farmacia in modo attento e qualificato sotto il profilo economico e finanziario.
Se il farmacista non è disposto a formarsi e ad aggiornarsi adeguatamente e se non modifica l’atteggiamento d’inerzia rispetto all’evoluzione del mercato, rischia di essere sostituito nel suo ruolo da altre figure professionali e da altri canali.
Diverse indagini demoscopiche indicano che a tutt’oggi più dell’ 80% del campione di soggetti esaminati che si reca in farmacia ha come unico scopo l’acquisto di farmaci, solo il 24% chiede consigli al farmacista e il primo criterio alla base della scelta della propria farmacia di riferimento risulta essere la prossimità (61,2%).
Il nostro stakeholder principale, il cliente, dimostra grande disponibilità a mantenere un rapporto con il canale farmacia e la soddisfazione calcolata è molto alta, 6,35 su una scala di Likert 1-7 dove 7 rappresenta la soddisfazione massima.
L’elemento che incide maggiormente sulla considerazione di punto vendita privilegiato per l’acquisto di farmaci e prodotti inerenti alla salute è la fiducia nella farmacia. Apparentemente questo dato può sembrare molto positivo, e per gran parte delle realtà lo è veramente, ma un’analisi più attenta rivela che spesso questa fiducia è di tipo prevalentemente istituzionale, “ legata al camice”, quindi dipende dal ruolo che in generale si attribuisce alla farmacia e alla figura del farmacista e non dipende dalle competenze del professionista, ma è legata prevalentemente a elementi di cordialità.
In sintesi, se da un lato vi è una valutazione generale positiva del canale farmacia, il fatto che per la maggioranza delle farmacie il farmaco sia ancora la “category destination” prevalente e che il consiglio sia richiesto solo da un cliente su quattro, in caso di cambiamento delle condizioni di distribuzione del farmaco o di creazione di format equivalenti alla farmacia, è forte il rischio di essere sostituiti da altri competitor.
Poiché nelle mappe cognitive del cittadino la farmacia è ancora al primo posto come canale d’acquisto di farmaci, è necessario non trascurare questo aspetto e ciò implica ancor più l’importanza di costruire una fiducia di tipo razionale, basata sulle competenze del singolo farmacista e sulla sua professionalità, valorizzando l’unicità del proprio ruolo.
“Ripensare la farmacia” però non deve essere solamente un’esigenza dettata da valutazioni economiche contingenti, ma deve rappresentare anche una modalità per far sopravvivere quel sistema di valori che da sempre caratterizza la nostra professione.
Farmacista quindi visto come un Giano bifronte, in cui l’anima commerciale e l’anima etico- professionale che lo dovrebbe contraddistinguere convivano rispettando le esigenze dell’una e l’esistenza dell’altra.
Farmacista ponte tra passato e futuro, dove l’aspetto manageriale della sua figura riesca a convivere con quello più antico, dello speziale attento alle problematiche del suo cliente paziente.
In questo ambito ben s’inserisce la figura del farmacista che amplia le sue conoscenze e competenze, anche nel settore delle medicine definite “non convenzionali”, in particolare l’omeopatia, e migliora ulteriormente la presa in carico della salute del suo cliente attraverso la proposta di un’integrazione e/o di un’alternativa alle cure tradizionali.
In realtà però, bisogna chiarire di quale omeopatia si possa parlare in farmacia: non che esistano più omeopatie né omeopatie di serie a o di serie b sia chiaro, ma è doveroso fare un distinguo tra le differenti competenze che riguardano il medico omeopata e il farmacista omeopata, nonché le relative conoscenze dei farmaci omeopatici secondo i vari livelli di approfondimento.
Un altro aspetto che mi sembra importante rilevare riguarda la prescrizione del medicinale omeopatico da parte del farmacista, che prevalentemente si basa su un razionale “allopatico”, dove il punto di partenza è la diagnosi nosologica e non il malato nella sua complessità, come invece accade in uno studio medico.
Fatte queste premesse, l’omeopatia così intesa rappresenta comunque per il cliente/paziente uno strumento di cura efficace e scevro da effetti indesiderati, se consigliata dal farmacista senza che si dimentichi i limiti del suo ruolo, come peraltro deve verificarsi sempre, anche nel caso ricorra al consiglio di farmaci convenzionali, con responsabilità e nell’interesse del paziente.
Il crescente interesse della popolazione nei confronti di cure complementari come l’omeopatia non è una tendenza ne’una moda, ma rappresenta un dato di fatto:
da una recente indagine commissariata da Omeoimprese a DoxaPharma, emerge che un italiano su 6 (cioè quasi sette milioni d’italiani adulti) ha utilizzato medicinali omeopatici nell’ultimo anno ma il 41% di essi ricerca informazioni riguardanti indicazioni ed efficacia sul web, mentre solo il 17% le ha ricevute dal farmacista. Questo dato sconfortante è indicativo del fatto che ci sia ancora molto da fare sia nell’ambito della formazione del farmacista, sia nell’ambito dell’informazione che il farmacista, seppur formato, riesce a comunicare al cliente.
Contemporaneamente rappresenta un segnale evidente di come la medicina allopatica, cosiddetta “ufficiale”, spesso sia vissuta dai pazienti come un mezzo utilizzato dal medico per essere liquidati, senza nemmeno essere stati visitati.
La medicina allopatica, infatti, si limita ad attaccare l’agente o il meccanismo responsabile della malattia, senza tenere in alcun conto il rapporto tra organismo ammalato nella sua globalità e malattia stessa, dando rilevanza alla malattia e non al malato e trascurando l’aspetto fondamentale della relazione con il paziente.
Il termine stesso “allopatico” esprime il concetto di “opposizione alla malattia” e si rispecchia nella farmacopea utilizzata e nel modo di prescrizione e di somministrazione dei farmaci, con l’obiettivo di eliminare i sintomi risultanti dalla malattia dei singoli apparati, utile in determinate patologie, ma non nella loro totalità.
Non sempre eliminando i sintomi si giunge alla guarigione del malato, soprattutto quando i sintomi rappresentano un campanello d’allarme che indica un disagio più profondo.
Una terapia di tipo omeopatico al contrario richiede a vari livelli uno studio particolarmente approfondito della sintomatologia, del decorso della malattia e della reazione alla terapia, ma anche del carattere della persona, presupponendo dunque un’imprescindibile relazione con il paziente, che in questo modo si sente ascoltato e considerato.
La strada da percorrere in funzione della scelta della cura più adatta è più complicata, necessita di maggiori informazioni e di più tempo dedicato, crea però confidenza e fiducia da parte del paziente che può dare fiato all’esternazione di sintomi e sensazioni che la prescrizione di una medicina allopatica rifiuta o lascia il più delle volte inespressi.
A questo proposito mi sovviene l’esempio di una paziente con rinite allergica che, descrivendo allo specialista otorino la sensazione, per lei sgradevole, data dall’antistaminico, di soppressione della rinite con conseguente secchezza della mucosa, si è sentita rispondere in modo ironico: “Ma allora signora, lei rivuole il suo raffreddore? Si deve rivolgere ad un altro specialista!”.
In questo spazio vuoto lasciato dalla medicina allopatica e dalla gestione odierna del malato, il più delle volte distaccata e poco accogliente, l’opportunità del farmacista di offrire mediante la medicina omeopatica una cura che racchiuda in sé oltre all’efficacia anche la relazione con il cliente, rappresenta il vantaggio di creare uno degli elementi fondamentali che rendono unica non solo quella farmacia ma quel farmacista con cui si è creata la relazione.
Numerosi sono gli ambiti in cui il farmacista può intervenire consigliando l’utilizzo di farmaci omeopatici, ne analizzo alcuni, primo tra tutti la gravidanza, dove l’assunzione di medicinali tradizionali è limitata a pochissime sostanze.
Laddove non si ritenga indispensabile l’intervento del medico, il ricorso all’omeopatia può essere suggerito anche a partire dal primo mese di attesa, per una serie di problemi legati sia alla gravidanza stessa, per esempio la nausea, sia per i disturbi di vario genere che possono insorgere durante la gestazione, per esempio l’influenza.
La medicina omeopatica può essere utilizzata come sostegno durante le fasi delicate del travaglio e del parto, perché migliora la frequenza e l’efficacia delle contrazioni e riduce il dolore, durante l allattamento per alleviare vari disturbi, e per sostenere mamma e bambino fisicamente e psicologicamente, nella prima infanzia per aiutare a superare tutte le patologie che non richiedono necessariamente l’intervento del pediatra e per le quali il ricorso ai farmaci tradizionali è altresì controindicato (es.: mucolitici al di sotto dei due anni).
Un altro campo di applicazione importante e’ ben rappresentato dalle persone allergiche ai farmaci tradizionali, oppure dai pazienti in cura con farmaci anticoagulanti, per i quali il farmacista non avrebbe altri strumenti terapeutici a disposizione.
Un intero capitolo va dedicato alla prevenzione e alla cura delle patologie allergiche, dove la medicina ufficiale ha motivo di farla da padrone nel trattamento di situazioni acute o di emergenza, quali crisi asmatiche gravi o shock anafilattico, ma rivela tutti i suoi limiti, tra cui gli effetti collaterali, sia nel trattamento delle manifestazioni acute, sia nella prevenzione. Al contrario, una serie di rimedi omeopatici può essere prescritta in relazione alla peculiarità dei disturbi presenti nelle fasi acute e le caratteristiche dei sintomi, le modalità di miglioramento o aggravamento ed eventuali sintomi mentali ad esse associati saranno indicazioni determinanti per arrivare a scegliere la cura.
Nel campo della prevenzione invece esistono due importanti possibilità di intervento, una consiste nell’utilizzo dell’isoterapia, cioè nella somministrazione dell’allergene in alta diluizione omeopatica a partire da qualche mese prima del periodo allergico, come terapia desensibilizzante, l’altra, solo per i più esperti, capace di individualizzare ogni singolo caso, considerando gli aspetti della patologia come l’espressione più evidente di un’ipersensibilità più profonda ed emotiva attraverso la quale si esprime il disagio del nostro paziente.
Non sempre il farmacista che possiede le competenze che potrebbero permettergli di affrontare la cura di alcune patologie croniche, ha tempo sufficiente in farmacia da dedicare al cliente e questo può rappresentare un limite; di fatto, con i clienti abituali della farmacia questo tipo di percorso a volte avviene spontaneamente, attraverso le varie frequentazioni differite nel tempo, ognuna ricca di particolari che messi insieme, a poco a poco, forniscono un quadro del cliente molto simile a quello che emerge durante un colloquio di durata adeguata.
Ovviamente la conoscenza approfondita della materia omeopatica richiede parecchio studio e questo fattore spesso scoraggia il farmacista neofita che teme di non essere in grado di gestire un consiglio corretto. Come in ogni ambito è giusto procedere per gradi, iniziando dai rimedi complessi, anche consigliati in associazione alle cure tradizionali, con l’obiettivo di insegnare al cliente ad orientarsi verso una medicina efficace e priva di effetti avversi. Anche in questo caso si crea l’opportunità di impostare una relazione più profonda con il cliente che si sente più cautelato e che spesso trasforma la sua fiducia in fedeltà.
Indubbiamente in un periodo di crisi grave come quello che stiamo vivendo, essere pronti al cambiamento investendo in risorse e in formazione rappresenta un grande sforzo, e, tra le varie opportunità che il farmacista può e deve cogliere per assicurare la sopravvivenza e l’evoluzione della professione, accanto alla moderna cultura del management, la scelta di specializzarsi in una disciplina dal sapore antico ma ancora attuale come l’omeopatia, rappresenta l’espressione della volontà di assolvere ai nuovi compiti di una Farmacia che pur cambiando ritrovi se stessa, mantenendo sempre come primo obiettivo la salute del paziente.

Cahiers de Biotherapie:

Un piccolo gesto fra malattia e guarigione

Dr. Pietro Prandi


A volte basta un piccolo gesto per passare da un lato all’altro del labile confine che divide la salute dalla malattia. Il caso che riporto ne rappresenta un chiaro esempio. Una quindicina d’anni fa conobbi Giorgia di 30 anni che allora era infermiera professionale presso la Casa di Riposo del mio paese. Da alcuni mesi presentava una sintomatologia gastroenterica con dolori addominali crampiformi, diarrea con molte scariche quotidiane, calo ponderale, febbricola. Un paio di specialisti consultati le avevano prescritto varie indagini (Ematochimici completi, Rx clisma opaco, TAC Addome) giungendo alla conclusione che fosse affetta da Morbo di Crohn per cui era indicata pancolonscopia con biopsia per la conferma diagnostica. Giorgia appariva molto provata da questa “etichetta di malattia” e visto che io, reduce da un paio di seminari sulle intolleranze alimentari, ero tutto infervorato nel testare con l’EAV i miei pazienti, accettò con entusiasmo di sottoporsi al test. Passammo in rassegna tutti gli alimenti possibili dai più comuni e ai più rari e sfiziosi e non trovai altro che una netta positività verso l’arancia. Avevo trovato il colpevole di tutto quello sconquasso ? Giorgia raffreddò subito il mio entusiasmo dicendomi che fin da piccola non mangiava arance né beveva spremute perché non le piaceva proprio il sapore ! Era veramente un’intolleranza, ma il suo organismo aveva già agito eliminando a priori le arance dalla sua dieta. A quel punto non mi restava altro che provare ad impostare una bio-terapia che potesse essere di qualche utilità alla paziente. Le caratteristiche di Giorgia (alta, magra, ipotonia muscolare con facile esauribilità, elegante nel portamento, freddolosa con labilità delle vie aeree) richiamavano senz’altro la costituzione “Fosforica” a cui si aggiungevano chiare note “fluoriche” (malocclusione dentaria, scoliosi evidente, iperlassità legamenti) e questo suffragava la plausibilità che fosse davvero un Crohn. Mentre mi destreggiavo tra repertorio e materia medica, Giorgia mi chiese “Cosa ne pensi dell’ olio essenziale di arancio dolce ?”. La guardai con occhi interrogativi e lei proseguì : “Da un po’ di tempo su consiglio di un’erborista, per la mia ansia serale, metto qualche goccia di questo olio sul mio ombelico e lo massaggio, ci credevo poco, ma direi che funziona”. Come colpito da un fulmine chiedo “Da quanto fai questa cosa ?”. “A pensarci bene da poco prima che iniziassero i miei problemi addominali…ci vedi un nesso ?”. A quel punto mi si accese una lampadina : olio essenziale di arancio dolce, cioè tutta l’energia concentrata dell’arancia a cui Giorgia è intollerante, proprio lì sull’ombelico, punto 8 del Vaso Concezione o Ren Mai che gli agopuntori conoscono come punto collegato alla patologia addominale, ma altamente reattivo per cui non è consigliabile pungerlo e lo si tratta solo con la moxa.
Chiusi i libri che stavo consultando e dissi “Prima di tutto sospendi subito questo rituale dell’ O.E. di arancio sull’ombelico e inizia questa semplice terapia drenante intestinale con Vaccinium vitis idaea MG 50 gocce due volte al giorno associata al ripristino di una corretta flora intestinale con l’utilizzo di probiotici, prima Enterelle e poi l’accoppiata Bifiselle e Ramnoselle”. Giorgia seguì alla lettera i miei consigli, quindici giorni dopo mi comunicò che tutti i sintomi addominali si erano notevolmente attenuati ed un mese più tardi poteva definirsi “guarita”. Il gastroenterologo che la seguiva rimase perplesso ed affermò che si trattava di un normale periodo di quiescenza della malattia e che presto ci sarebbe stata una ricaduta. Giorgia “aspetta” ancora oggi quella ricaduta ! Un semplice gesto, poche gocce di olio essenziale su un punto particolare, l’aveva gettata nella “malattia”, sospendere quel semplice gesto l’aveva “guarita”. A volte “medicina” con la “M” maiuscola è anche questo, saper dare il giusto valore ad un gesto che anche se semplice e banale può però scatenare l’enorme potenza reattiva del nostro organismo. E questo al di fuori dei rigidi confini fra allopatia e CAM o fra le stesse CAM ed in barba alle diatribe che spesso inquinano il nostro essere medici.

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